Al cospetto di un evento terrificante come la tragedia che ha colpito la città di Genova ci sentiamo smarriti: ”Come è potuto succedere?” Ci sentiamo smarriti come cittadini interessati alla cosa pubblica e come componenti della società civile, senza pretese di poter avere qualcosa da aggiungere o da suggerire a quanto l’autorità giudiziaria potrà accertare sotto il profilo delle responsabilità dei gestori della manutenzione e delle pubbliche autorità cui incombe l’onere del controllo della stessa.
Un onere che non sembra delegabile, perché configurerebbe un conflitto di interessi di portata incommensurabile e forse ancora di più proprio per la natura stessa di un rapporto di concessione, e le cui disfunzioni possono avere conseguenze di portata incalcolabile.
Ma il discorso non può, comunque, essere circoscritto in questi limiti, proprio per la portata politica sconcertante che la vicenda riveste. Del “Ponte Morandi” erano anni che si discuteva fino al punto che era stato redatto un progetto, la cosiddetta “Gronda” – sul quale A.R. ha già ampiamente riferito. Il progetto contiene una serie di opere per alleggerire il traffico che gravava sulla struttura.
Una struttura che da tempo sopportava un carico triplo di quello per il quale era stata costruita nel 1967. Né si può dire che accanto ai sostenitori della necessità di provvedere esistevano anche altrettanti pareri contrari, che escludevano la necessità di interventi di manutenzione straordinaria. Il rischio che gravava sul viadotto era infatti troppo elevato, come purtroppo gli eventi si sono incaricati di dimostrare.
Come abbiamo già anticipato, non vogliamo fare un discorso di responsabilità giuridica, che non ci compete. Ma un discorso di responsabilità politica, sì. Proprio per le considerazioni sulle quali ci siamo già soffermati e per l’attenzione alla rilevanza che nella fattispecie assumono le conseguenze e che deve prevalere anche sui convincimenti di natura tecnica, scientifica, professionale, culturale, quali che essi possano essere. Le stesse autorità politiche hanno non adeguatamente prestato attenzione al caso nel corso degli anni passati.
A questo punto il discorso non può che allargarsi e imporre una riflessione che ha carattere nazionale. Televisione, radio, stampa – proprio come organi di informazione - avrebbero dovuto, ad avviso di chi scrive, far comprendere la dimensione nazionale della questione e dei rischi che vi erano connessi.
E non sembri chiedere troppo, anche perché noi italiani siamo sempre troppo superficiali e per la nostra faciloneria paghiamo prezzi altissimi: rischio sismico, rischio idrogeologico…rischio ….normativo, perché siamo afflitti da una caterva di norme venute in essere sotto la spinta di interessi articolari e accavallatesi in assenza di una vasta e penetrante opera di razionalizzazione, di sfoltimento, di realizzazione di testi unici, una situazione che sembra fatta apposta per favorire la voglia di fare di testa propria, ignorando – talvolta per necessità va pur detto - disposizioni di legge e regolamentari.
Dar mano a un’opera di questa natura sarebbe l’indice di un cambiamento significativo - difficile, comunque, perché irrealizzabile senza la cooperazione convinta di tutto il paese.
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