Dopo che è stata resa pubblica l’iscrizione del ministro Savona fra gli indagati dell’inchiesta aperta sei mesi fa dalla pm Venditti di Campobasso, è interessante notare il tipo di reazioni registrate.
Nell’indagine Paolo Savona è stato coinvolto pur essendo all’epoca dei fatti contestati solo presidente dell’Unicredit e quindi senza poteri decisionali e, come è stato precisato dalla stessa procura, la sua iscrizione è atto dovuto.
Del fatto il direttore del «Corriere della Sera» ha subito dettato la chiave di lettura: l’indagine costituirebbe un problema per il M5S, che in contrasto coi criteri “giustizialisti” del passato stavolta non ha preteso dimissioni. Sulla stessa linea si è posto il PD, che recrimina sul fatto che quando a essere indagati erano esponenti del precedente governo di centrosinistra, dai banchi dell’opposizione penta stellata fioccavano condanne anticipate.
Ora è bene essere chiari su questo punto. Il PD, sia per come ha agito verso i suoi avversari politici da quando è nato e sia per come in precedenza le formazioni che lo hanno costituito hanno fatto uso strumentale delle indagini giudiziarie, non è nelle condizioni di rivendicare patenti di garantismo.
La pratica dei due pesi e delle due misure può dirsi anzi una costante di quel versante politico.
E ciò è dimostrato anche dai modi in cui polemizza oggi con Di Maio, dal momento che si concentra nell’evidenziarne il comportamento contraddittorio, ma non assume una posizione davvero “altra” rispetto alla deriva anti-politica e giustizialista di cui i 5 stelle sono espressione.
Dall’attuale governo ci separa tanto la descrizione della realtà, quanto i criteri che ne ispirano le azioni di intervento. Tuttavia, è impensabile che lo si possa contrastare facendo un uso puramente strumentale della polemica politica e tanto meno pensando che il fine giustifica ogni mezzo.
Per troppo tempo le inchieste giudiziarie sono state “usate”, nell’indifferenza in primo luogo degli stessi magistrati che, per primi, avrebbero dovuto contrastare la pratica corrente di trasformarle in strumenti di lotta per il potere con il colpevole contributo di un giornalismo, sempre schierato e mai davvero al servizio della corretta informazione.
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