E’ capitato più volte nel corso dell’ormai lunga storia di “Quaderni Radicali” (integrati con “Agenzia Radicale”) che si sia parlato del Presidente della Repubblica, e che se ne sia parlato nel contesto delle nostre critiche e proteste contro l’invadenza dei partiti nel quadro istituzionale.
I partiti tendevano a comportarsi come padroni del vapore, e di fatto lo erano, e quindi tutte le decisioni politiche dovevano essere frutto della loro volontà, comprese ovviamente (anzi prima di tutto) quelle relative alla formazione del governo, e cioè in primo luogo alla scelta del capo del governo.
Veniamo dalla prassi delle consultazioni: quando nella prima Repubblica (per chi scrive tuttora viva anche se non vegeta…) c’era una crisi del governo o dopo una consultazione elettorale, quando cioè si doveva formare un nuovo governo - e visto che la costituzione a riguardo stabilisce solo che il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri che poi sceglie i ministri - si è formata la prassi che il Presidente della Repubblica senta i rappresentanti dei partiti; prassi di incerta correttezza costituzionale, in quanto non si capisce perchè debba sentire i partiti e non i gruppi parlamentari, visto che la fiducia al governo la debbono dare i deputati e i senatori e che i deputati e i senatori esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato (art. 67 della costituzione)…
Porre questa questione, ovviamente, comportava sentirsi rispondere, nella migliore delle ipotesi, che non valeva la pena di perdere tempo con cavilli inutili, tanto i parlamentari seguivano e non potevano non seguire altro che le direttive delle segreterie dei rispettivi partiti (i gruppi parlamentari ne erano considerati “delegazioni”…)… solo che la costituzione non dice nulla al riguardo. Anzi…
L’Assemblea costituente, infatti, non ignorò il fatto che tra le cause della crisi della democrazia italiana nei primi anni venti del secolo scorso c’erano state l’instabilità governativa e la scarsa capacità di governare dei governi del tempo e cercò di dotare la Repubblica di un organo come il Presidente della Repubblica che qualche potere lo avesse: e fu il il potere di “nomina” del Presidente del Consiglio, che non avrebbe dovuto avere carattere meramente “notarile”…anche perché la costituzione stessa definisce il Presidente della Repuibblica “capo dello Stato e rappresentante dell’unità nazionale” (art.87).
Le cosa, comunque, sono andate come sono andate, il Presidente del consiglio dei ministri lo hanno di fatto scelto i partiti e i loro accordi…. fino a quando i presupposti di fatto di questo andamento sono rimasti in essere, fino a quando cioè c’è stato un sistema di partiti nel quale convergeva tutta una classe politica fornita di competenze, una classe politica entrata in crisi con Manipulite e crollata in larga parte nel corso degli anni novanta.
Il tentativo dell’Ulivo di Romano Prodi, a parte altre considerazioni di ordine storico politico sulle quali spesso abbiamo insistito, ne ha fatto convergere una parte poi ritrovatasi nel PD, ma è stato troppo poco ed è stato anche un tentativo minato da contraddizioni interne e costruito su presupposti non solo criticati da noi radicali, ma effettivamente risalenti a un altro tempo politico.
Oggi i problemi del “riformismo” e della “socialdemocrazia” hanno trovato luoghi istituzionali di discussione e risoluzione e da qui la crisi della sinistra in tutti i paesi dell’Europa, tutti alle prese con problemi la cui gestione si pone a un livello “oltre” gli Stati…
Ma non è una cosa inconcepibile che la sinistra resti muta (nel miglior dei casi) di fronte a un problema umano come quello delle migrazioni di una massa enorme di diseredati che fuggono alla fame, alle carestie, alle guerre…? Che una sinistra abbia dubbi (e anzi veda, in buona sostanza, di malocchio) l’integrazione europea quando proprio le stesse prospettive della crescita economica, cioè in buona sostanza del benessere, dipendono da rapporti mondiali, dallo scontro tra grandi colossi sulle cui politiche poco o niente possiamo influire?
Non è crollata solo la classe politica italiana, è crollata anche quella francese… e in Germania le “tentazioni nazionali” tornano a fare capolino… Oggi cioè, per tornare a noi, il Presidente della Repubblica deve risolvere una crisi di governo con una presenza parlamentare dietro la quale non stanno veri partiti con una classe politica dietro, perché anche il PD si presenta in grave crisi con se stesso e veramente nessuno saprebbe quali prospettive coltivare a breve termine.
Il PD discute se continuare o meno in una trattativa con il Movimento 5 Stelle per formare un governo, che avrebbe una maggioranza risicatissima ed esposta a sfasciarsi il giorno dopo… ed ecco che allora emerge la figura di un Presidente della Repubblica che non fa e non può fare il “notaio”, il notaio di niente e di fronte al vuoto può diventare il vero Presidente della Repubblica che la Costituzione ha concepito: ovviamente nel pieno rispetto del ruolo del Parlamento (fare le leggi e dare la fiducia al governo, nel pieno esercizio dei suoi poteri, come precisati dall’art. 67 della costituzione, di cui si è detto); un Presidente della Repubblica che svolge con estrema discrezione (proprio il Presidente Mattarella…) un ruolo politico nella soluzione di una crisi grave, evitando soluzioni affrettate e possibilmente creando spazi e tempi per andare a nuove elezioni con qualche cosa in mano, anzi molto di più, di un voto affrettato che riprodurrebbe, avvelenata, la stessa situazione politica di oggi.
Chi scrive pensa che il PD non possa rifiutare un confronto con i 5Stelle, ma possa, anzi debba, dialogare con loro, non certo con l’obbiettivo di formare un governo (ripezzato alla meglio), ma per trovare (o comunque favorire) una soluzione provvisoria per guadagnare un tempo e per dare vita ad una legge elettorale che assicuri governabilità, al fine di riflettere a fondo sulla sua crisi interna, su una (sua) storia sicuramente lunga un secolo e più e per far prendere consapevolezza ai 5Stelle delle terribili complessità della presente situazione politica. Poi si vedrà.
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