La riunione della Direzione del Partito Democratico avvenuta il 13 novembre, può rappresentare una svolta nella politica italiana, perché probabilmente (molto?) segna il tramonto di un mito che nella storia della sinistra negli ultimi decenni ha avuto una forza considerevole, come si è potuto constatare proprio negli ultimi tempi e che, per l’appunto, soltanto ieri è stato messo in crisi: il mito di un’unità globale della sinistra.
Nel suo intervento di lunedì il Segretario del PD è stato molto prudente, ha pesato le parole, ha voluto tenere tutte le porte aperte; ma nella sostanza il suo è stato un discorso da vincitore: parcere victis et debellare superbos, e comunque ha ottenuto un’approvazione della sua posizione senza voti contrari, mentre l’ala aperturista si è, onestamente, astenuta.
Sì di Enrico Letta, sì di Dario Franceschini…Da fuori intanto Eugenio Scalfari, su “la Repubblica”, dà molto peso alla “notizia che fuori discorso Renzi ha dato”, cioè l’incarico a Piero Fassino “di trattare con loro (i dissidenti) le modalità del rientro e il merito dei temi che saranno discussi e sui quali i rientrati avranno il loro peso indipendentemente dal loro numero”. E poi si chiede: “Aspetteranno? Capiscono l’importanza di un partito che a quel punto andrebbe da Bersani a Franceschini, da Pisapia a Minniti, da D’Alema a Orlando? Tengono conto dell’appello di Veltroni alla riunificazione?”.
Ma subito dopo Scalfari rimprovera in modo molto netto ai dissidenti il “no” al referendum dello scorso dicembre, il no alla monocameralità, cui seguirebbe l’ingovernabilità, e questo proprio in un momento in cui il paese versa in condizioni difficili. E rimprovera poi ai Presidenti di Camera e Senato, (“due persone con le quali ho da tempo rapporti di grande amicizia”) di proporsi come nuovi leaders della sinistra – sinistra e si impegnano in una delicatissima operazione politica e si oppongono entrambi alla riunificazione che si può fare soltanto a condizione dell’abiura da parte di Renzi…
Dalla controparte, intanto, sono già arrivati netti rifiuti, non privi di accenti animosi, confortati da quelli di… area.
Renzi dal canto suo comincia già a dar corpo all’ipotesi “elettorale” di apparentamenti, (nel quadro delle nuove disposizioni, che potrebbero passare alla storia come “la legge del volto utile”), della concorrenza da fare ai “5 Stelle”, della porta semiaperta non certo a Berlusconi (che già si è premurato di chiuderla) ma all’Italia dei moderati…
A questo punto, salvo piroette inimmaginabili (ma non si sa mai…) dovrebbe maturare una svolta, la crisi definitiva, cioè, del mito dell’unità della sinistra. Il PD unito, come prima della scissione, non è stato certo un’esperienza esaltante (e su questo punto credo che i pareri possano essere unanimi, o no?) e dopo l’accaduto gli scissionisti sono fermi nelle loro posizioni (Bersani anzi ci ha tenuto a precisare che non si tratta di Renzi – come noi ingenui e tanti altri, si pensava - e che la questione è di contenuti) mentre Renzi sottolinea, anche ieri in Direzione, che le cose fatte non si mettono in discussione e in direzione non trova oppositori…
La storia è vecchia e il punto fondamentale resta quello che su QR e su AR si è sempre tenuto fermo: la crisi del comunismo non ha determinato un dibattito, nonostante l’enorme importanza dell’accaduto, che chiudeva una vicenda mondiale e con essa il “secolo breve”. Certo, c’era stato Berlinguer, che però non aveva ottenuto nemmeno un “compromesso storico” e tutto era finito con la nonsfiducia all’Andreotti dell’unità nazionale. E poi l’“Ulivo” della sinistra DC e di quel che restava del PCI-Quercia-PDS-DS, l’”Ulivo” esso pure venuto in essere con tante speranze e tanta buona fede, ma in assenza di un’analisi critica. Del resto il dramma risaliva a molto tempo prima… basti pensare alla svolta di Salerno, e ai presupposti che la sorreggevano. Già, la questione liberale….
De resto anche Renzi naviga a vista. Fassino si dovrà occupare anche di correzioni al jobs act, per la ricerca di misure atte a favorire i rapporti di lavoro a tempo indeterminato e affrontare un problema di fondo che rivela un limite della ripresa in atto, perché è senz’altro vero che si è avuto un fenomeno di crescita non soltanto economica, ma anche di occupazione, solo che l’occupazione è aumentata solo in settori produttivi circoscritti, mentre per gli altri la situazione è rimasta quella della crisi (e chi scrive ne ha esperienza diretta, quale militante dell’Associazione noprofit “Salvamamme”, che fornisce concreti aiuti – vestiario, alimenti…- sostegno, materiale, servizi… a migliaia di diseredati, italiani e di ogni razza e colore… e su A.R., si è avuto occasione di parlarne).
E Renzi non ha ignorato la questione e si rifa alla usuale ricetta dell’intervento pubblico restando a nostro a nostro avviso senza risposta l’altro problema di fondo: il rapporto con l’Europa, che forse si teme di toccare, perché ritenuto scabroso sotto elezioni. Eppure, se non altro, la nostra forte esposizione finanziaria a causa dell’enorme debito pubblico ci mette a rischio di assalti speculativi da parte dei dominatori del quadro mondiale e già la nostra ripresa è molto legata al quantitative easing di Mario Draghi (acquisto da parte della Banca Centrale Europea di titoli pubblici malmessi), ma la misura è a tempo e sta per scadere…Ma un attacco speculativo al nostro debito pubblico non potrebbe essere affrontato senza l’intervento delle istituzioni europee.
L’Italia sta attraversando una situazione molto difficile, di problemi sociali di grande rilievo, di crisi politica, di profonda di incertezze, di incoscienza diffusa, di populismo, con più della metà degli italiani che non va a votare. E la lezione del 2011 sembra già essere stata dimenticata. E quanto alle prossime elezioni, già fa capolino la tesi che la nuova legislatura non durerà e che si dovrà tornare a breve a nuove elezioni…
E i partiti? La prima Repubblica è vissuta di grandi partiti e di piccoli partiti (la cui presenza pure ha avuto un peso notevole nella vita politica; si pensi ai radicali di Pannella che erano un pugno di uomini…), ma erano tutte formazioni politiche legate alle complesse tradizioni culturali dell’Italia.
Oggi tutto questo è venuto meno e in qualche modo va ricostruito. E sul Partito Democratico grava gran parte del peso di questa indispensabile opera politica. Nella prossima primavera si va al voto. I tempi sono stretti, ma l’iniziativa su questo terreno non va trascurata. E l’avvio nel paese di un dibattito su tutti questi temi è l’unica strada per dare una scossa al clima di stagnazione e disimpegno che ci avvolge. Il referendum dello scorso dicembre è stato perduto proprio perché è mancata l’atmosfera che desse la sensazione che era in gioco il nostro futuro.
Con l’emersione di un dato che non era certo prevedibile avrebbe fatto capolino e costringere a riflettere: è un’osservazione di tipo nuovo, che mai in passato alcuno aveva formulato. “Ma la prossima legislatura quanto potrà durare?” si ritiene cioè che la prossima legislatura, quali che ne siano gli esiti, non potrà delineare la formazione di una situazione politica definita, con la conseguenza del delinearsi di una condizione di ingovernabilità che come già detto ci costringerà a tornare al voto degli elettori.
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