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16/11/24 ore

Una via nuova per l’Europa?


  • Silvio Pergameno

L’accordo sulla gestione delle migrazioni raggiunto a Parigi lo scorso 28 agosto ricalca quello precedente raggiunto dall’Italia (fermare i migranti in Africa con la collaborazione dei governi e dei sindaci interessati, fornendo gli aiuti necessari) ed ha già registrato l’esito di ridurre in modo netto gli sbarchi; anche le discusse norme sulle ONG sono passate, in quanto la presenza della polizia sulle navi è resa necessaria in presenza dei gravi rischi che la situazione presenta.

 

In margine ai colloqui si è anche parlato del superamento del patto di Dublino (che stabilisce che i migranti debbono restare nel paese dove sbarcano) e della necessità che gli oneri connessi con la gestione non facciano carico solo all’Italia, che pure così aveva voluto.

 

Al tavolo dell’Eliseo sedevano da una parte i rappresentati dei paesi africani (Ciad, Niger e Libia) e dall’altra quelli dei paesi europei invitati (Francia, Germania, Italia e Spagna), che dopo la Brexit sono i più grandi dell’Unione e ne rappresentano la maggioranza della popolazione complessiva.

 

Il dato che si vuole, però, in questa sede sottolineare è un altro, e riguarda il percorso attraverso il quale si è giunti all’accordo, frutto di un’iniziativa del Presidente francese, Macron, che ha lasciato l’Europa sullo sfondo, anche se la convergenza tra i paesi maggiori renderà i risultati un fatto dell’Unione, immodificabile all’interno della stessa, anche se questa, come tale, non ha figurato tra i gestori dell’evento..

 

Si è così delineato nella realtà politica del continente l’avvio di quell’Europa “a due velocità” di cui si era di recente parlato in modo informale agli alti livelli politici, raggiungendo in breve tempo un esito di vasta portata. L’Europa, questa volta, - nella sostanza delle cose - si trova ad aver compiuto un passo avanti nel trattare un problema rilevante come le migrazioni senza aver avuto, con le sue istituzioni, un ruolo per produrlo.

 

E tutta la popolazione europea ne trarrà vantaggio, meglio comprenderà l’importanza dell’Unione, anche per la ragionevolezza delle soluzioni trovate, per avere trovato modo di offrire un principio di soluzione alle necessità di quanti a prezzo di grandi sacrifici ed esponendo a gravi rischi la loro stessa vita cercano uva via d‘uscita per loro esistenza.   

 

Si è così delineata una strada nuova per la lunga opera di costruzione dell’unità del continente. Non più la via che potremmo chiamare “giuridica” della stipula si trattati per costruire istituzioni più o meno sovranazionali, ma una strada politica di fatto, affrontando problemi concreti e trovando soluzioni. Il continente europeo presenta una realtà di stati, di popoli, di culture, di lingue, di tradizioni, di modi di pensare che hanno sicuramente una storia comune (i trattati di storia d’Europa in tutti i paesi europei sono numerosi), ma presentano poi differenze e interessi diversi e anche confliggenti, con la conseguenza che la strada per andare avanti va costruita in modo empirico, per affrontando problemi concreti con chi ci sta.

 

Quanti sono avanti negli anni e tra i propri ricordi personali hanno anche quelli della gloriosa resistenza degli inglesi ai travolgenti successi militari delle armate di Hitler in Europa nei primi anni quaranta, non può nutrire che sentimenti di grande rispetto, ammirazione e riconoscenza, ma deve insieme considerare che la Gran Bretagna è stata nel secondo dopoguerra l’ostacolo più forte alla costruzione europea, alla quale essa non ha mai pensato e tanto meno creduto, avendo sempre avuto in mente non un continente in marcia verso l’unità politica – ovviamente di natura federale – ma soltanto una zona di libero scambio.

 

Con la Brexit gli altri europei si sono trovati di fatto nella situazione di poter decidere da soli, e i recentissimi  accordi di Parigi ne sono un primo esito. E adesso non si tratta di fare gli offesi e di mettersi a fare la guerra agli inglesi per vendicarsi di un supposto voltafaccia.

 

La Gran Bretagna è una nazione amica e gli inglesi sono un popolo amico, con secoli e secoli di storia comune e alla cui cultura dobbiamo molto in tutti i campi e in particolare in quello della costruzione della democrazia moderna. Dopo la Brexit si tratta di costruire rapporti di buon vicinato e collaborazione nel comune interesse e nel comune sentire.

 

 


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