“Se […] i cosiddetti “democratici” […] non riaffrontano in chiave critica le loro contraddizioni interne e sciolgono i nodi di quella “questione liberale” […] la crisi difficilmente troverà una soluzione diversa dalla fine di questa democrazia e dalla probabilità di un’involuzione politica di dimensioni spaventose.”; così chiudevo il contributo al numero 109 di Quaderni Radicali intitolato “Un domani al Partito Democratico”. Oggi, a distanza di quasi quattro anni, al di là di qualsiasi accelerazione più o meno improbabile della fine della legislatura, troviamo un quadro politico i cui attori sono tutti profondamente cambiati, compreso, nello specifico, il PD.
Un PD che, passando dalle “grandi intese”, attraverso il governo Letta, il “patto del Nazareno”, la parabola del “marketing del riformismo” della stagione renziana e la pesante battuta d’arresto della stessa con il referendum costituzionale − che ne ha dissolto la forza propulsiva, ponendo le basi per l’attuale governo PD, a guida Gentiloni − ha comunque lasciato, alla fine di queste trasformazioni più o meno strumentali alla sopravvivenza della legislatura stessa o alle ambizioni più o meno palesi di questo o quel leader, il suddetto quadro intatto ed impermeabile nella sua “resistenza strutturale” a qualsiasi forma di immissione di quei contenuti liberali che sarebbero la premessa indispensabile per la sopravvivenza-esistenza-creazione del pur necessario “Partito Democratico”.
Quel partito, di cui cercheremo di tracciare a grandi linee un profilo socioculturale possibile nella realtà attuale, che possa fornire la base di cultura politica per un’alternativa possibile al desolante stato di dis-grazia in cui galleggia quell’avamposto europeo della crisi mondiale della democrazia che il nostro paese esprime ai massimi livelli in questo continente. Ma nel definire gli ingredienti che stanno alla base di questa “ricetta” democratica non possiamo fare a meno di analizzare, se pur sommariamente, le variabili di sfondo storiche e sociali che danno senso e funzione al concetto attuale di democrazia nell’Europa geografica e nello specifico in Italia.
Questo paese ha proceduto in modo non lineare attraverso le transizioni necessarie che portano il sistema democratico ad essere introiettato e riprodotto dalla società a tutti i livelli di interazione. La società italiana ha spesso saltato dei passaggi fondamentali dello sviluppo democratico, applicando le regole dall’alto ad un tessuto sociale che non ne aveva avuto e che non ne poteva avere un riscontro diretto attraverso i continui drammatici contrasti dialettici che le danno la legittimità. Un po’ come è accaduto nei paesi del ”socialismo reale”...
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