Difficile dire se Virginia Raggi, neo-sindaco di Roma, sia stata più infastidita dalle battute del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, che l’ha definita “bambolina imbambolata” oppure dalle espressioni in sua difesa, all’insegna del bon ton e della correttezza istituzionale, pronunciate da Renzi e da Cuperlo all’unisono. Nei ruvidi modi del primo c’è almeno, forse sgradevole, una schiettezza d’animo, che si stenta a riconoscere nei secondi.
Così come stentiamo a inseguire i commentatori dei giornali, impegnati come mai prima a proiettare “fasci di luce” – tanto luminosi quanto selettivi come occhi di bue – su tavoli, trattative e cordate che hanno preceduto l’indicazione degli assessori, partorita a diciotto giorni dal ballottaggio.
Tuttavia, è innegabile che l’intera vicenda politica romana conferma come nel M5S manca il contrassegno che è proprio di una forza di reale rinnovamento. Siamo di fronte a un movimento che è comunque nato e cresciuto in un contesto contaminato dagli esiti ultimi della lunga stagione partitocratica. L’anti-politica che lo ha alimentato, il gravame di un’indignazione ispirata più dai dati moraleggianti che non dalla volontà di governo delle situazioni, il rapido adattamento alle logiche proprie delle lotte di potere piuttosto che per l’affermazione dei diritti, sono le zavorre che rischiano di pregiudicare le prospettive future.
A Roma, la situazione era tale che ci si sarebbe attesi da una forza politica, con ambizioni di sostituirsi al sistema vigente, linearità e rapidità di esecuzione: le doti di chi ha estro e fantasia, piuttosto che le attitudini proprie dei pedanti e dei cavillosi. Durante la campagna elettorale, non è emersa alcuna visione o progetto della città e, dalle prime avvisaglie, paiono delinearsi scenari dove prevarrà la testarda insistenza sui dettagli minuti anziché la capacità di trovare soluzioni complessive.
Del resto, c’è anche da chiedersi come potrebbe essere altrimenti dal momento che sin dall’inizio mancavano le premesse perché avvenisse. Un processo di cambiamento reale necessita di essere svincolati dai grumi di conservatorismo presenti nella società e nel Paese, ma il M5S non vive questa condizione.
I suoi esponenti, privi di un retroterra di lotta politica, si sono imposti sulla scena nazionale favoriti dal risentimento contro il politicantismo ma, inevitabilmente, ne hanno subito i condizionamenti anche sotto la forma delle campagne fomentate dai media, terminali dei soggetti economico-finanziari interessati a guidare il gioco.
Oggi, il neo-sindaco della Capitale ha buon gioco a ironizzare sui “politici esperti” che hanno così malridotto la città. Resta da vedere se il movimento da cui proviene sarà capace di dare corpo a una alternativa o soltanto a una diversa declinazione di identici meccanismi.
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