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18/11/24 ore

Primarie sì, primarie no?


  • Silvio Pergameno

Delle primarie abbiamo parlato ancora su Agenzia Radicale, nel senso che sono come i quadri, i vestiti, le opere d’arte in genere, e anche tutte le invenzioni: le imitazioni dell’originale non funzionano; e del resto anche in natura è così, perché non si possono allevare orsi bianchi in Somalia o elefanti in  Siberia.

 

Le primarie sono invenzioni della democrazia americana, dove hanno una storia lunga e complessa e dove soltanto negli anni settanta del secolo scorso si sono svolte con l’ammissione di tutti i cittadini e dove un’ampia partecipazione significativa e indicativa è legata a una caratteristica della società civile, che è multiforme e caratterizzata da una variegata composizione etnica e religiosa e presenta una forte presenza associativa, mentre poi i partiti non sono affetti da bulimia presenzialista e hanno principalmente funzioni di macchina elettorale.

 

Questo non significa che in Italia le primarie non significhino nulla, ma da esse non ci si può aspettare più di tanto: dalle elezioni del 2006 quando il nascente Ulivo se ne era servito nell’ottobre dell’anno precedente per la scelta del premier da indicare agli elettori (vinse Prodi con circa il 75% delle preferenze espresse, tanto che qualche maligno avrebbe potuto pensare che per indicare  Prodi non ce ne sarebbe stato bisogno…) l’istituto è stato usato in diverse competizioni, in particolare non nazionali, ma senza risultati di rilievo ed ha prestato il fianco anche ad… inconvenienti, come i famosi cinesi alle primarie di Napoli nella precedente tornata elettorale locale.

 

Per approfondire un po’ meglio il tema sia consentito un breve excursus di natura costituzionale. Nella nostra costituzione (art. 49) si legge che  tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico  a determinare la politica nazionale. Si tratta di una norma piuttosto strana della quale non si capisce bene il significato, perché non si può certo pensare che in assenza di quella norma non si potessero costituire associazioni politiche, specialmente in presenza del disposto di cui all’art. 18 sulla libertà di associazione, che pone il solo divieto delle finalità criminali.

 

Ma l’art. 49, dal momento in cui non aggiunge nulla in più di quanto stabilito dall’art. 18, sembra quasi voler introdurre un limite proprio nel campo politico, nel senso che in questo ambito sono ammessi soltanto partiti politici e non altre forme associative, come ad esempio i comitati, che sono costituiti con una finalità specifica e quindi hanno carattere provvisorio…

 

Non si capisce poi come l’art.49 si concili con il disposto dell’art. 67 che stabilisce che i deputati e i senatori esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato, per cui da un lato la partecipazione a determinare la politica nazionale sembra ridursi a ben poco e dall’altro non si capisce come un testo normativo, e pure costituzionale, possa contenere due principi quasi contraddittori, perché il primo ha natura partitico-socialistica e il secondo ha matrice propriamente liberale e garantisce la libertà degli eletti, proteggendola da interferenze di ogni specie, comprese quelle di partito e a ben vedere giova anche alla rappresentatività, perché la politica è un farsi quotidiano in circostanze mutevoli e in un quadro di rapporti complessi, una condizione operativa quindi nella quale il vincolo di mandato diventa deresponsabilizzante, perché tarpa le ali e facilita la possibilità di tricerarsi dietro un patto preliminare o dietro l’ordine di scuderia del partito.

 

E a questo punto si entra meglio nel vivo del problema: il partito è forte soprattutto per effetto del potere di fare le liste, potere al quale gli eletti in fatto tentano di sottrarsi attraverso le scissioni e la formazione di gruppi e gruppetti sempre più piccoli: primarie o non primarie.

 

La via di uscita si profila allora cercando la strada per assicurare al cittadino la possibilità di arrivare in Parlamento o in Consiglio regionale o comunale o di diventare sindaco senza dover necessariamente passare per un partito, ma con le sue sole forze o con il sostegno di un comitato da lui stesso formato: il problema è di legge elettorale e di legge sulla propaganda elettorale, per assicurare la famosa eguaglianza dei punti di partenza di cui tanto si parla. Si parla, appunto…

 

 


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