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18/11/24 ore

Junker, Renzi e … il seguito


  • Silvio Pergameno

Venerdì scorso il Presidente della Commisssione europea Jean Claude Junker, con il suo bel nome franco tedecsco - come si confa a un lussemburghese come lui – ha ancora una volta confermato di saper essere un bravo mediatore, cioè tutt’altro che uno junker, cioè tutt’altro che un duro conservatore dell’aristocrazia terriera prussiana che il nome individua, che solo a sentirli nominare qui da noi si spargeva il terrore.

 

È arrivato facendosi precedere da lusinghere dichiarazioni del tipo che con l’Italia non ci sono problemi, quasi a voler far capire a chi di dovere che per litigare bisogna… – come dire? -  essere in due - e magari  un po’ anche per  un inconfessato timore di essere considerato uno che porta male, un gufo insomma – anche se quelli un po’ nordici non ci credono a certe credenze popolaresche, proprie di religioni inferiori. E quindi con Lui le scaramanzie non dovrebbero funzionare.

 

Fatto sta che, nonostante gli sforzi di Pier Luigi Bersani, questa volta a Renzi una rottamazione bene o male è riuscita – quella dei gufi, almeno - perché un po’ di crescita c’è stata e un po’ il deficit si è ridotto, anche se non si capisce come stiamo a debito pubblico perché per Repubblica è calato, mentre per il Corriere è cresciuto e sul lievissimo miglioramento del dramma più grosso, quello di coloro che a causa della disoccupazione non hanno una lira in tasca, non pare ci possa accettare la valutazione prevalente, per la quale la stabilizzazione, cioè il miglioramento della posizione di quanti la lira in tasca - almeno al momento -  ce l’hanno, è considerata riduzione della disoccupazione, anche se quelli che non hanno una lira in tasca aumentano, e cioè i giovani che non trovano lavoro.

 

Ma non sembra che questa valutazione sia accettabile, perché in realtà si tratta di un miglioramento della condizione di chi un lavoro o almeno un lavoretto già ce l’ha, mentre quelli che non ce l’hanno restano con una mano davanti e l’altra di dietro. Deve essere per colpa di una logica di natura socialdemocratica che si commettono certi errori; infatti per gli svedesi e i danesi, maestri nordici di socialdemocrazia, i profughi è meglio che restino tali, davanti alle barriere frapposte al loro cammino della speranza, digiuni e al freddo e sotto la pioggia e la neve,  dato che a loro non si può garantire una casa e un lavoro stabile.

 

In sostanza a Roma venerdì scorso il match tra Premier intaliano e Presidente della Commissione europea è finito come a Berlino il 29 gennaio scorso tra il medesimo Premier e la Supercancelliera tedesca. Un embrassons-nous, che ciascuno può interpretare come preferisce.

 

C’è comunque da augurarsi che a Bruxelles il 7 e il 17 prossimi le riunioni dei capi di stato e di governo apprezzino i miglioramenti, modesti, ma innegabili della condizione italiana e consentano un pò più di flessibilità ai nostri governanti e decidano che le spese di investimento non fanno parte dei nostri debiti.

 

Senza farci troppe illusioni, però; perché quanti potranno mai essere i soldi da investire? Dobbiamo risolvere problemi enormi per dare una vera sterzata alla nostra situazione complessiva, a partire dalle condizioni del Mezzogiorno (come ha ricordato Annamaria Furlan, Segretario generale della CISL, ad esempio – si veda la Repubblica di oggi mercoledì -) e veri e grossi investimenti possono venire solo da piani europei. Ma, a proposito, i famosi trecento miliardi di euro promessi, Junker quando si decide a renderli disponibili? Gli junker erano piuttosto cattivi, ma alla parola data ci tenevano.

 

 


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