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17/11/24 ore

La realtà grillina dopo il brutto Quarto d’ora


  • Ermes Antonucci

Sedotta e abbandonata da Grillo e dalla sua cerchia magica, alla fine il sindaco pentastellato di Quarto Rosa Capuozzo ha deciso di dimettersi. Il vertice del Movimento 5 Stelle esulta per l’onore salvato, ma la prova data dai grillini di fronte allo scandalo che ha travolto il piccolo comune napoletano rimarrà probabilmente negli annali come esempio migliore, anzi peggiore, della vera natura del movimento e del pandemonio in cui, se solo se ne avesse l'opportunità, si vorrebbe far sprofondare il Paese.

 

Il salto carpiato effettuato da Grillo nel giro di pochi giorni da un timido garantismo (“No a dimissioni”) a un impetuoso giustizialismo (espulsione del sindaco e invocazione delle elezioni) ha in primo luogo confermato in tutta la sua chiarezza, oltre che la presenza di una certa viltà umana di fondo nello spirito del grillismo (che, a parole, si prefiggerebbe invece di rilanciare un altissimo senso di solidarietà civica), l’inconsistenza politica del movimento, mutevole nei suoi principi guida a seconda delle convenienze del momento.

 

Profonde ambiguità, in realtà, erano emerse già durante la difesa iniziale di Capuozzo avanzata dal comico genovese: proteggere un proprio eletto sostenendo che “i voti della camorra (quelli – presunti – ricevuti dall’ex consigliere De Robbio, poi accusato di aver ricattato Capuozzo, ndr) non sono stati determinanti” per la vittoria del M5S in comune è risultato, non solo piuttosto ridicolo, ma anche emblematico della visione utilitaristica che Grillo ha della democrazia, lontana così anni luce da ogni considerazione di carattere realmente garantista e benché meno liberale.

 

Incoerente, e raffazzonato, l'improvviso cambio di rotta successivo: “La strada dell'onestà ha un prezzo. Il prezzo è dover essere, sempre, senza eccezione alcuna, al di sopra di ogni sospetto”. Come se il sospetto, attorno alla figura di De Robbio e quindi indirettamente anche di Capuozzo, non esistesse tre giorni prima, quando quest’ultima veniva difesa. Se il “dovere di un sindaco” - come recitava il post pubblicato sul blog di Grillo in cui si annunciava l’espulsione (unilaterale e senza alcuna consultazione) del sindaco - è quello di“denunciare immediatamente e senza tentennamenti alle autorità ogni ricatto o minaccia che riceve”, è chiaro che questo “dovere”, così come il “sospetto”, esistesse infatti già da diverso tempo, e che dunque sia stato tirato fuori non in virtù di un fantomatico rigore morale, bensì con il semplice obiettivo di porre disperatamente una toppa ad una vicenda che rischiava - e tutt'ora rischia - di travolgere il movimento nelle sue più alte sfere.

 

Già, perché ora, nonostante l'espulsione del sindaco e lo scaricabarile di responsabilità, le domande attorno alla conoscenza o meno di lungo corso della questione da parte di alcuni componenti del direttorio del M5S (fra tutti Roberto Fico e l'astro nascente - forse ora calante - Luigi Di Maio) restano.

 

Non è opera di dietrologia affermare che attorno a questa vicenda, nel giochino movimentista personalistico ideato da Grillo, qualcosa si sia rotto: nessuno, dalle parti della Casaleggio Associati e dei suoi esperti di marketing politico, avrebbe probabilmente mai autorizzato la pubblicazione del video in cui Di Battista, Di Maio e Fico annunciano di non aver "mai saputo" dei ricatti a Quarto. Lo sguardo imbarazzato, intimorito e perso nel vuoto del vicepresidente della Camera grillino, infatti, dice tutto.

 

A completare il quadro, maldestro, ci hanno pensato le riflessioni sull'uso "strumentale" di stralci di intercettazioni da parte dei media (buongiorno!), e le continue minacce di querela ai giornalisti che avrebbero proseguito le proprie inchieste (che fine hanno fatto le campagne post-it per la libertà di informazione?).

 

Insomma: fallimento di governo, dilettantismo, vuoto assoluto di cultura politica, incoerenza ed opportunismo. Il caso Quarto ha espresso, in tutte le sue dimensioni, quel che il M5S realmente è.

 

 


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