di Giulio Leoni
Le attuali iniziative estemporanee di alcuni dirigenti scolastici di rimuovere dai calendari scolastici le attività legate al Natale (spettacolini, canzoni, presepi ecc.), oltre ad essere inopportune e quasi sempre prese senza il consenso dei collegi docenti e dei consigli di istituto, muovono da una totale incomprensione della funzione cognitiva dei simboli e delle modalità attraverso cui la mente infantile si relaziona con la realtà.
Un presepio, una canzoncina, una poesia natalizia non sono soltanto attività di culto. Anzi, con la progressiva laicizzazione della nazione esse lo sono sempre meno, mentre vanno acquistando sempre più l’aspetto di elementi legati alla sfera estetica dell’essere. Sono un’educazione alle basi della nostra cultura, dai primi elementi di arti visive alle strutture architettoniche delle nostre chiese e città, alle armonie della musica e del canto, fino alle ingenue forme della poesia popolare.
Basi su cui poi lo sviluppo successivo dell’apprendimento potrà via via fare proprie le forme della modernità, ma che sono fondamentali nell’età infantile. Privarne i bambini è altrettanto sciocco che cancellare le fiabe con draghi e principesse, esiliare Cenerentola perché avvilirebbe la donna o Biancaneve perché troppo crudele.
Un laicismo ottuso, che fa il paio con le chiese trasformate in garage e depositi degli anni più cupi dello stalinismo. E se poi questo viene fatto per facilitare l’integrazione di altre etnie ospiti della nostra, allora l’errore diventa colpa: perché un’azione del genere veicola l’idea tacita che nella nostra tradizione ci sia qualcosa di potenzialmente offensivo per gli altri, da cui gli altri devono essere difesi. Come se un italiano in Cina dovesse sentirsi offeso dal Capodanno o dalla Festa delle Lanterne, o in Giappone dalla vista di una cerimonia scintoista.
Cancellare le caratteristiche originali di un sistema culturale per smussarne le differenze rispetto ad un altro che si vorrebbe integrare, equivale a progettare una convivenza basata sul nulla invece che sul rispetto reciproco. Un modello che porta solo al radicalizzarsi delle differenze, alla progressiva chiusura nel proprio recinto e infine e ineluttabilmente, in tempi relativamente brevi, alla guerra.
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