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18/11/24 ore

Magistrati delegittimati, tutta colpa della politica… L’auto-beatificazione dell’ANM


  • Ermes Antonucci

"Contro di noi una strategia della delegittimazione" ha detto il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli all'apertura del 32esimo congresso del sindacato delle toghe. A voler essere sinceri, bisognerebbe dire che a portare avanti una strategia di delegittimazione contro la magistratura, in questi anni, è stata la magistratura stessa, con i suoi pubblici ministeri in cerca di visibilità mediatica, con gli innumerevoli processi fondati su mere tesi politiche, con il via vai di magistrati dalle sedi di partito, con i suoi continui sconfinamenti sul piano della dialettica politica (se non legislativa), e molto altro ancora.

 

Ma questa volta ci limiteremo a sottolineare le ambiguità delle parole espresse dal presidente dell'Anm (e non solo). Sabelli, infatti, ha detto oggi che la tensione fra politica e magistratura, che per anni è stata legata a vicende giudiziarie individuali (leggasi Berlusconi) finendo con l'offrire un'immagine di sé "drammatica ma, in realtà, semplificata", oggi mostra invece di vivere "una dinamica meno accesa nella forma ma più complessa".

 

Quale sarà questa complessità, dunque? Saranno forse le tensioni generate dalla suddetta tendenza della magistratura ad invadere il campo politico? No, il riferimento di Sabelli è alle riforme del governo che hanno riguardato lo status dei magistrati (dal taglio delle ferie alla nuova disciplina sulla responsabilità civile). Riforme accusate dall'Anm di voler rappresentare la magistratura italiana come "un ceto elitario e oligarchico", e di voler diffondere una "percezione delle istituzioni dello Stato come gruppi di potere gelosi dei propri vantaggi", con grave pericolo per lo stesso "sistema democratico" del Paese.

 

Insomma, la polemica dell'Anm, alla fine, piuttosto che addentrarsi realmente sulla evocata "complessità" dei rapporti tra potere politico e giudiziario, sembra ridursi tutta ad una questione di status e di privilegi, e consegna agli occhi dell'opinione pubblica proprio quell'immagine della magistratura occupata solo a difendere i propri interessi che tanto si vorrebbe combattere. Da parte delle toghe, infatti, non emerge alcuna intenzione di auto-critica, anzi, ha proseguito Sabelli, sono le "carenze della legislazione e spesso l'inerzia delle autorità amministrative" le vere "cause di quella che impropriamente viene definita la supplenza dei giudici". Ai quali, di conseguenza, dovremmo anche dire grazie.

 

Tutta colpa della "legislazione", dunque. Ecco spiegato il motivo per cui, subito dopo, il presidente dell'Anm ha voluto pontificare su tutto: dalle unioni civili (puntando l'indice contro l'inerzia del Parlamento e parlando di un "impegno difficile e solitario" della magistratura - dimenticando, tra le tante cose, la lunga battaglia radicale), alla corruzione, passando per la prescrizione e la riforma del processo penale. Sabelli ha rimproverato la politica anche per la "troppa enfasi" con cui si è concentrata sul nodo delle intercettazioni.

 

Sulle intercettazioni, in realtà - come notammo a suo tempo - non vi è nulla, ma solo una legge delega che contiene una semplice affermazione di principio (e sarebbe questa la tanto pericolosa "enfasi"?). Per di più, secondo Sabelli, di tutto ciò non si dovrebbe proprio parlare, in quanto bisognerebbe piuttosto occuparsi della criminalità organizzata "diffusa ormai in ogni ambito" del settore pubblico e dell'economia. Un richiamo che, fondandosi sul solito benaltrismo qualunquista ("I veri problemi del paese sono altri!"), pare provenire più da un politico che da un magistrato.

 

Ma a tranquillizzare le toghe di fronte a tutti questi clamorosi rischi per la tenuta democratica del Paese, ci ha pensato il responsabile giustizia del Pd, David Ermini, che ha rivendicato come fino ad oggi né il governo né il Parlamento abbiano messo mano al sistema delle intercettazioni: "Per questo alcune frasi sulla 'politica non attenta' ci appaiono ingenerose". La politica non si è mossa, che almeno le si riconoscesse questo merito.

 

 


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