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25/12/24 ore

PC..I addio


  • Silvio Pergameno

Una bomba è scoppiata in seno al PD, un botto fragoroso, anche se con morti e feriti solo virtuali: Sergio Staino, il creatore di Bobo, in una lettera comparsa sull’Unità, ha investito con parole molto pesanti Gianni Cuperlo, il più stilé nella minoranza del partito, invitandolo a recarsi in un luogo qualsiasi, comunque affollato e a gridare: “Questa sinistra Dem ci sta veramente scassando i coglioni”: avrebbe certo come risposta una standing ovation.

 

Un incipit polemico niente male, con un seguito di considerazioni e valutazioni altrettanto incisive. Ha fatto bene, ha fatto male, doveva affidarsi a n documento approfondito e paludato? C’è da dire proprio di no; perché si tratta di una faccenda che si trascina dal tempo della caduta del Muro di Berlino, quando il vecchio PCI non colse l’occasione per aprire una resa dei conti con…se stesso.

 

Lo dicemmo subito, in una considerazione sull’esito della Bolognina, L’implosione dell’ URSS, il paese guida del comunismo mondiale, il paese del socialismo realizzato, la grande potenza che il mondo libero aveva costantemente cercato di arginare a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, la centrale di un blocco di stati comunisti (comunisteggiati) con una storia costellata di resistenze e ribellioni (Jugoslavia, Unhgeria, Cecoslovacchia…) dopo un lungo periodo di progressiva sclerosi  era venuta meno e questo avvenimento grandioso rendeva indispensabile che il PCI, il più grande partito comunista in occidente, aprisse un dibattito di fondo, si interrogasse sul “che fare”?

 

Non è stato così; non è stato così, nonostante che i pilastri sui quali il PCI era stato concepito venivano tutti meno: la politica dei fronti popolari; la spietata lotta contro il socialismo quando questa formazione politica cercava di emanciparsi dalla tutela soffocante del  partito fratello (grande, molto grande) e di tentare le strade della socialdemocrazia europea; il dialogo con i cattolici, meccanismo essenziale di una democrazia “popolare”, legittimata dalla fondazione su un “blocco storico” delle forze popolari - imperniato su  e guidato da un partito comunista, compatto, fortemente strutturato al livello territoriale e costruito su una burocrazia preparata in ogni campo, che nel partito e del partito viveva, che con il partito risolveva i problemi vitali e le possibilità di carriera politica, un’ipotesi da contrapporre all’altra di una democrazia liberale.

 

Un disegno grandioso, ma che proprio agli albori aveva urtato contro una realtà ben precisa: il mondo cattolico italiano nella dimensione politica era strutturato nella Democrazia cristiana, longa manus della Santa Sede, strettamente ancorato al Concordato stipulato da Mussolini, che in buona sostanza rappresentava un aggiornamento del potere temporale della Chiesa nel nuovo quadro dell’Italia unita, nella quale conquistava con i patti del 1929 una forte struttura burocratico territoriale, seppellendo il movimento dei popolari di don Sturzo.

 

Così si ebbe l’inserimento dei Patti lateranensi nella costituzione, la resistenza comunista alla conquista delle libertà civili, l’evolversi del rapporto tra PCI e mondo cattolico nella direzione di un compromesso storico, cioè di un tentativo di conquistare, come meta agognata, l’ingresso del partito nel governo del paese (senza peraltro raggiungere nemmeno questo obbiettivo).

 

Che cosa poteva significare questo programma politico dopo gli eventi della fine degli anni ottanta e dei primi anni novanta del secolo scorso, eventi internazionali, di cui si è fatto cenno, ed eventi nazionali, occorsi negli stessi anni, che registravano la fine della maggior parte dei partiti italiani, della DC e del PSI, in particolare. Del vecchio complesso dei partiti restava il solo PCI, il quale tentava tutta una serie di aggiustamenti di facciata, PDS , Quercia, DS ed infine l’iniziativa prodiana dell’Ulivo e  la fondazione del nuovo partito, il Partito Democratico, con la sua travagliata storia sin dagli inizi, a partire dal fallimento al livello governativo nel 2008.

 

La minoranza del PD si presenta come l’ultima erede del vecchio PCI e opera chiusa in un fortilizio in una disperata resistenza a ogni innovazione, giocando perennemente la carta delle difficoltà a ogni innovazione tentata dalle forse nuove che il partito ha aggregato intorno a sé. Sulla difficoltà a imboccare una nuova strada non c’è bisogno di spender parola, ma i vecchi resistenti non riescono a riescono nemmeno a far conoscere quali siano gli obiettivi per i quali si battono. Con il risultato che l’impressione che se ne ricava è che non ce ne sia nessuno.

 

 


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