Il presidente della giunta regionale siciliana, Rosario Crocetta, ha annunciato che chiederà all'Espresso dieci milioni di euro, come risarcimento danni per aver diffuso il contenuto di una presunta telefonata, nella quale il suo interlocutore - il primario Tutino - avrebbe augurato all'ex assessore Lucia Borsellino la stessa fine del padre magistrato. Contemporaneamente, Crocetta dichiara che fra un mese si dimetterà, così come gli chiede la dirigenza del PD. Le dimissioni di assessori, intanto, si susseguono anche nella giunta comunale di Roma, dove il sindaco Marino mostra sempre maggiore affanno e incorre ripetutamente in situazioni imbarazzanti. Altrettanto problematico il caso di Milano, dopo che il sindaco Pisapia ha dichiarato che non ha intenzione di ricandidarsi.
Per il PD di Renzi diventa pertanto essenziale, in vista della tornata elettorale amministrativa, invertire una tendenza negativa che rischia di far registrare un esito deludente che potrebbe avere gravi ripercussioni sia sulla tenuta del governo, sia sulla sua occupazione del centro della scena politica. Tuttavia, i comportamenti assunti dalla maggioranza renziana del PD rispetto a questi fronti di crisi non si sono certo contraddistinti per linearità e lucidità.
A Palermo, l'uso puramente strumentale di una intercettazione (per altro risalente a tempo fa) di cui non vi è finora traccia, è stato talmente smaccato da risultare al limite della sostenibilità. Tanto più che, nelle stesse ore, il ministro Boschi si sforzava di sminuire il rilievo dello scambio pettegolo fra Renzi e il generale Adinolfi sulle capacità di Enrico Letta e la ricattabilita' o meno del Presidente Napolitano. A Roma, si lascia galleggiare il sindaco, ponendolo quasi sotto tutela mentre cresce il degrado della capitale a nemmeno quattro mesi dal Giubileo. Al posto di Pisapia non va profilandosi alcun sostituto e si rischiano primarie dall'esito incerto.
Viene da domandarsi come mai il partito del presidente del Consiglio si sia ridotto in questa condizione. A nostro avviso ciò non si spiega soltanto con la divaricazione fra Renzi e i caciccati locali, o con la mutazione genetica intervenuta dopo la conquista della segreteria da parte dell'ex sindaco fiorentino. Il motivo è più profondo e va individuato nella incapacità della principale forza di sinistra di risolvere la questione liberale.
Non bastano i proclami anti-burocrazia o il dinamismo fine a se stesso, così simile a una ruota che accelera nella sabbia, per essere protagonisti di un progetto di modernizzazione del Paese. Del movimento berlusconiano si disse che era un "partito di plastica", privo di un'anima. Il PD ci appare talvolta come un "partito plastilina", la cui forma si adatta a ogni manipolazione. Ma questa, in realtà, è una caratteristica che è andata manifestandosi ben prima del 2007 (anno di fondazione del PD) e già dopo il 1989 minava la natura della sinistra italiana, orfana del post-Yalta. E la ha esposta a diventare un soggetto subalterno a dinamiche che si consumano al di fuori di essa.
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