All’indomani dell’uscita su «L’Espresso» del testo di una telefonata intercorsa con il suo medico Matteo Tutino, che pare abbia auspicato per l’allora assessore alla Sanità Lucia Borsellino la stessa fine del padre magistrato, il presidente della Sicilia Rosario Crocetta ha terminato la sua intervista all’Ansa tra i singhiozzi, lamentando che in quel modo lo si stava massacrando.
La storia è di quelle che sembrano declinarsi nella più classica veste pirandelliana: “così è (se vi pare)”, dove ognuno dei protagonisti la racconta in modo diverso. Le parole del primario, così odiose e meschine, sono state davvero pronunciate durante la telefonata? Ma questa c’è poi stata, visto che il procuratore di Palermo Lo Voi si è affrettato a negare che sia agli atti del processo in corso? O, come sostiene il settimanale debenedettiano, fa parte di altre carte processuali per ora secretate? O, addirittura, come qualcuno insinua, è stata solo “sentita” di persona da uno degli estensori dell’articolo, il giornalista Piero Messina a suo tempo licenziato dal governatore siciliano?
Come si vede, sono bastate poche ore alle cronache dei media per montare un fantasmagorico ginepraio nel quale è facile perdersi. Alcuni commentatori leggono la vicenda all’insegna più del melodramma, che non della tragedia a tinte fosche. È il caso di considerare se non altro i vertici che delimitano questo ingarbugliato perimetro.
Primo: non serve certo la mancata reazione del governatore Crocetta alla frase dell’amico chirurgo, per qualificare la sua azione. La sua amministrazione è costellata da spese facili, trattamenti di favore e tanta insopportabile retorica anti-mafia, che non ha esitato a “massacrare” le persone sgradite collocandole dalla parte di chi non combatte la “buona battaglia” contro il crimine. Che questa retorica abbia ormai assunto un odore acido, è dimostrato tanto dalle dimissioni della figlia di Borsellino, quanto dall’annuncio della sua volontà di non partecipare alle commemorazioni del padre per non concedere nulla ad essa.
Secondo: il capo del governo, Renzi, e il suo emissario in Sicilia, Faraone, hanno sembrato cogliere con fin troppo tempismo questo incidente offerto loro dall’intercettazione ripresa a qualche anno di distanza da «L’Espresso», per chiedere le dimissioni di Crocetta. Paradossalmente, ciò è accaduto a poche ore dalla pubblicazione di altre intercettazioni imbarazzanti, con protagonisti lo stesso presidente del Consiglio e il generale della Finanza Adinolfi.
Terzo: il procuratore di Palermo, Lo Voi, giunto al vertice della Procura all’indomani della contrastata vicenda sulla trattativa Stato-Mafia, dopo che l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano era stato sottratto all’interesse dei pm dalla sentenza della Corte Costituzionale, ha smentito l’esistenza dell’intercettazione riportata dalla stampa. Lo ha fatto però in modo ambiguo, riferendosi solo al processo in corso, dopo di che si è fermato.
Quarto: per quanto riguarda «L’Espresso», se davvero ha pubblicato un atto secretato, dovrebbe essere sottoposto a indagine. Come pure dovrebbe rispondere della divulgazione di una notizia del tutto falsa, qualora davvero la telefonata non fosse stata mai fatta.
Ancora una volta, in questa storia assistiamo a un intreccio di poteri, i cui soggetti godono di un particolare vantaggio: essere immuni da ogni controllo.
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