Evocare Copernico quando si tratta di annunciare rivoluzioni è ormai divenuto un classico, se si vuole a parole far crede che si sta mettendo davvero mano al cambiamento. Tuttavia, si fa fatica a convincersi che la detassazione dell’Imu sulla prima casa risponda a logiche che capovolgano sistemi e concezioni; piuttosto rispecchiano antichi e sempreverdi metodi di breve periodo con cui la politica punta a sensibilizzare in via diretta il portafogli di un elettorato in fuga.
Lo schema è quello dei famigerati 80 euro in busta paga, molto utile a far crescere i consensi in cabina elettorali, molto meno efficace al rilancio dell’economia e dei consumi, i quali non si risollevano con una finta boccata d’ossigeno a chi ha già qualcosa, ma si alimentano allargando il giro di chi può avere domani uno stipendio da spendere.
Ciò può avvenire soltanto attraverso interventi con effetti non immediati e meno evidenti all’occhio dell’italiota medio, che rendano più competitivo il sistema-paese e quindi maggiormente conveniente investire e fare impresa. Insomma, detassare il lavoro e la produzione resta la via maestra e ancora non praticata per quella vera rivoluzione di cui necessità l’Italia, che con l'ennesima sparata del Premier resta invece condannata, anche nello sterile dibattito estivo, al casacentrismo.
È una questione di priorità. Ammesso che ci siano le risorse per farlo - e questo è tutto ancora da vedere - sarebbe opportuno intervenire prima e subito detassando l’impresa. Purtroppo, sondaggi alla mano, Matteo Renzi ha ben’altro a cui pensare.
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