La sconfitta di Felice Casson a Venezia ha reso del tutto evidenti ameno due fatti concreti. Il primo riguarda il PD, che a livello nazionale è impegnato nella scelta di una nuova strada più "centrista" con il percorso avviato dal segretario Renzi (il discorso infatti si riferisce più al segretario che al capo del governo), ma si trova poi a presentare a Venezia un campione del percorso opposto e un campione diventato candidato alla poltrona di sindaco della città proprio attraverso il percorso delle primarie.
Il secondo riguarda invece il campo politico dei vincitori, che hanno conquistato un comune da sempre governato dalla sinistra, forte della base "operaia" di Mestre Marghera, che annovera una popolazione oggi forse doppia di quella del centro lagunare.
Iniziamo dal primo fatto. La scelta dei candidati attraverso il meccanismo delle primarie ha acquistato un ruolo notevole nelle valutazioni dei passaggi o meglio dei tentativi di rinnovamento della sinistra; Agenzia Radicale non ha invece nascosto una certa sfiducia nello strumento, in quanto le primarie, nel paese che le ha inventate, si innestano su una situazione sociale, politica e istituzionale profondamente diversa da quella italiana e caratterizzata da una società civile forte della presenza di strutture e mezzi economici autonomi: i partiti americani sono in sostanza dei comitati elettorali e i candidati alla presidenza per prima cosa debbono far fronte al fund raising, mentre in Italia le strutture di partito hanno un ruolo dominante nella vita pubblica.
E questo può spiegare come mai a Venezia il candidato ufficiale del Partito democratico sia risultato un esponente della sinistra del partito, in polemica con il nuovo corso renziano, che abbiamo agli inizi di questo intervento chiamato semplicemente "un percorso centrista", non certo una Bad Godesberg del socialismo italiano. O, se non proprio di una Bad Godesberg – di cui non esistono forse più i presupposti e i termini – comunque un aperto e profondo chiarimento interno, proprio per definire cosa sia la sinistra oggi in Europa.
Perché uno dei miti da sfatare è proprio quello che oggi non si possa parlare più di destra e di sinistra. Destra e sinistra non esistono più nel senso tradizionale dei termini, mentre gli epigoni della destra e della sinistra come sono state presenti in Italia dal secondo dopoguerra in poi stanno oggi disordinatamente risalendo le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza. Ma le divisioni reali si delineano nel sottofondo, su un piano che nessuno aiuta a far emergere.
Mentre è proprio da constatazioni e considerazioni di questo tenore che occorrerebbe ripartire.
Ma veniamo al secondo fatto: la vittoria a Venezia di Luigi Brugnaro. Brugnaro: chi è costui? E il figlio di Ferruccio Brugnaro, operaio della Montefibre – Montecatini di Marghera dai primi anni cinquanta, personaggio di rilievo nelle lotte operaie, divenuto poeta sui temi di quelle lotte, poeta militante, che dei suoi versi fece efficace strumento di battaglia e di proselitismo, apprezzato anche fuori Italia e tradotto in Spagna e negli Stati Uniti.
Il figlio Luigi è diventato invece un grosso imprenditore in vari rami (compreso quello dello sport) e si parla di un reddito di trecento milioni l’anno. Ha vinto con una lista civica, ottenendo anche un non esaltante, ma determinante appoggio da parte della Lega al ballottaggio. Esclude di essere di destra o di sinistra, si ritiene un renziano… in sostanza uno in gamba, che ha capito come si faceva a vincere e che occorrerà aspettare alla prova dei fatti, evitando, se non altro per correttezza, di esibirsi in anticipazioni.
È la testimonianza di uno stato nascente, come è da ritenere anche il Movimento 5 stelle sull’altro fronte, nave, anzi navi tutti e due, senza nocchiero in gran tempesta, per i quali il rischio più grosso è rappresentato proprio dall’assenza nel paese di un dibattito politico serio, che costringa a misurarsi con i problemi reali e non soltanto con le mene dei sopravvissuti e dei trasformisti.
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