Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

15/11/24 ore

Il caso Bindi


  • Silvio Pergameno

C’è da dire che più che di un caso “De Luca” ci si trovi oggi di fronte a un “caso Bindi”, non potendosi ritenersi un evento fortuito il fatto che proprio il comportamento dell’onorevole presidente della Commissione parlamentare antimafia sia oggi in discussione per la faccenda degli impresentabili, persone, cioè, sulle quali esistono dubbi in merito all’opportunità della loro presenza in una competizione elettorale.

 

La ragione profonda della legge è di evitare che associazioni malavitose che possono dominare ampi territori conquistino elevate posizioni attraverso il consenso di un elettorato e la presenza di candidati in qualche modo “controllati” o comunque di evitare candidature di soggetti che abbiano subito condanne di penali un certo rilievo.

 

Ora, non si può non rilevare in tutta la faccenda una questione preliminare, e cioè che le norme sugli “impresentabili” sembrano contenere una rilevante irrazionalità, in quanto, come reazione alla presentazione di candidature non ammissibili stabilisce poi conseguenze di natura afflittiva che non riguardano l’esclusione dalle liste degli “impresentabili”, ma intaccano il risultato delle elezioni, colpendo il voto degli elettori e le posizioni acquisite da tutti i candidati “presentabili” e quindi titolari di un buon diritto, del quale finiscono con il rimanere privati senza alcuna colpa.

 

Con l’avvenuta presentazione delle liste, ogni questione sulle candidature deve ritenersi ormai preclusa; ma comunque a Rosy Bindi non si può contestare che come presidente dell’Antimafia si sia orientata lasciandosi sedurre da beghe interne di partito, altrimenti si torna al 1793 e alla famigerata “legge dei sospetti”; le si può contestare però di non aver compreso che pubblicare la lista degli impresentabili due giorni prima delle elezioni significava tirare un colpo mancino a candidati ormai ammessi alle elezioni, cioè intervenire, e pesantemente, sul voto.

 

Il problema di fondo viene prima, ad avviso di chi scrive, delle questioni se De Luca debba essere dichiarato decaduto o sospeso, se debba essere sospeso prima o dopo che ha formato la giunta regionale, tanto più che la condanna a un anno subita molti anni fa per un abuso di ufficio non è ancora definitiva, ma soggetta ad appello e l’interessato non si avvale della prescrizione…

 

La vicenda sicuramente non ha giovato al PD, ma essa va vista in un quadro più ampio di quello chiuso nel riferimento alle regionali dello scorso maggio. Il PD è il prodotto di una storia non lunga, ma significativa: e oggi il PD di Renzi mira ad essere considerato un partito non di sinistra, ma di centro-sinistra, aperto cioè al voto dei ceti moderati.

 

La componente di sinistra del partito nel quadro di questo si trova così a recitare la parte del rompiscatole, legata a vecchie ideologie e vecchi progetti ormai tramontati, ai quali tuttavia anche una parte del vecchio elettorato può sentirsi ancora affezionata (anche se già adesso i “5 stelle” sembrano poter sedurre più una protesta di sinistra che un ribellismo neoleghista sul modello salviniano).

 

La socialdemocrazia tedesca più di mezzo secolo fa a Bad Godesberg mise in soffitta Marx, naturalmente con grande sdegno dell’ “Unità” e di “Botteghe oscure”. A Godesberg i socialisti tedeschi fecero un bagno (Bad) di libertà, ma non è che in Italia manchino le stazioni termali…

 

 


Aggiungi commento