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15/11/24 ore

Italicum o non italicum


  • Silvio Pergameno

La prima significativa innovazione nel sistema elettorale italiano sostanzialmente vigente dall’entrata in vigore della costituzione fu il  c.d. Mattarellum elaborato nel 1993 dall’attuale Presidente della repubblica, seguita nel 2005 dal Porcellum (relatore Calderoli); ciascuna di queste due leggi è durata per tre legislature. In effetti questo lungo e tormentato processo ebbe inizio con il referendum del 1993, dal quale scaturì la prime delle riforme suddette, con lo scopo di assicurare la governabilità.

 

Sotto accusa era infatti la proporzionale e in particolare la critica al voto di preferenza, che aveva dato origine al fenomeno delle c.d. cordate, per realizzare concentrazioni di voti preferenziali su determinati candidati e gruppi di candidati.

 

Il Mattarellum prevedeva 475 collegi uninominali per la Camera e 232 per il Senato, pari a ¾ dei componenti e vinceva il candidato che conseguiva più voti; il restante quarto veniva prescelto con sistema proporzionale con liste bloccate e quindi senza preferenze. Resse per tre legislature, delle quali la terza (elezioni del 2008) durò, come tutti ricordiamo, solo due anni.

 

Nel 2009 furono indetti tre referendum, nessuno dei quali però raggiunse il quorum della metà più uno degli elettori, per cui essi non ebbero alcun esito.  Si ebbe comunque una nuova legge elettorale, il famoso "Porcellum", i cui caratteri principali erano rappresentati  dall’abolizione dei collegi uninominali, sostituiti per la Camera da 26 circoscrizioni e per il Senato dalle regioni. Il nuovo sistema aveva sì una base proporzionale, ma in sostanza mirava a un sistema maggioritario, garantito dal premio di maggioranza e dallo sbarramento assicurato dalla soglia di accesso,  stabilita per la Camera nelle misure del 4% per i partiti che si presentano da soli e del 10% per quelli presenti in coalizione, con un ulteriore sbarramento per le liste presenti in coalizione, che per poter avere accesso alla ripartizione dei seggi dovevano aver ottenuto almeno il 2% dei suffragi  alla Camera e per il Senato rispettivamente dell’8%, del 20% e del 3%. Le liste restavano bloccate.

 

È accaduto poi che la Corte di Cassazione nel maggio 2013 ha rimesso alla Corte costituzionale il Porcellum, ravvisando nella legge problemi di legittimità costituzionale; e il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del premio di maggioranza, perché non assistito dalla previsione di una soglia minima di voti e perché non prevede il voto di preferenza.  

 

È così entrata in gestazione una nuova legge elettorale, conosciuta come Italicum, che, come noto, ha avuto un’elaborazione piuttosto complicata e soprattutto dal gennaio dello scorso anno è stata modificata in tre punti essenziali. Se approvata il sistema resterebbe il proporzionale corretto dal premio di maggioranza e dalle soglie di sbarramento, ma inizialmente il premio di maggioranza era previsto per la lista o la coalizione di partiti,che avesse ottenuto il 35% dei voti validi (ecco la soglia minima), mentre poi i voti ottenuto servivano solo a stabilire quanti eletti otteneva ciascun partito, ma in concreto i prescelti erano poi quelli stabiliti dal partito, perché venivano eletti i primi nell’ordine delle liste presentate, ovviamente compilata dal partito. 

 

Cammin facendo ci sono state delle modifich solo alla lista che ha raggiunto il quorum; quorum che è passato dal 35% prima al 37% e infine al 40% dei voti validi, mentre poi solo i capilista dei partiti che hanno superato il 3% dei voti sono automaticamente eletti, mentre gli altri sono eletti con il voto di preferenza espresso dagli elettori (e così si è cercato di sanare anche l’altra incostituzionalità che aveva colpito il Porcellum).

 

Quanto sopra riferito al fine di rendere chiara la storia della riforma del sistema elettorale, si osserva preliminarmente che anche l’Italicum non soddisfa certo le esigenze di una legge elettorale veramente liberaldemocratica, ma per ragioni opposte a quelle delle quali si fanno portatrici le opposizioni in Parlamento. Al di là del quadro della divisione dei poteri, che ha natura costituzionale, di fatto il ruolo che i partiti svolgono nel nostro parlamento non assicura in alcun modo né governabilità né rappresentatività ed è all’origine dell’allontanamento sempre più marcato degli elettori dalle urne, nella consapevolezza di essere le vittime delle lotte di potere tra partiti, partitini, correnti, gruppi e gruppuscoli e magari…. singole persone.

 

Le innovazioni dell’Italicum intervengono in modo molto modesto su questi problemi di fondo: la previsione del quorum e la reintroduzione delle preferenze tengono conto del giudizio della Corte costituzionale espresso nella sentenza sul Porcellum, l’attribuzione del premio alla lista e non più alla coalizione viene incontro all’esigenza di omogeneità all’interno dei futuri sostenitori del governo, ma presuppone l’esistenza di un partito internamente coeso, che oggi non si vede quale possa essere..

 

E nella sostanza restituisce il cerino acceso al Partito democratico, l’unico, in presenza del subbuglio scatenato in cui versa la destra, a poter aspirare alla conquista del premio di maggioranza. E a questo punto viene in campo il discorso di cui  Oblò, Quaderni Radicali e Agenzia Radicale si sono sempre fatti portatori: nella crisi dei primi anni novanta, che portò alla fine anche del PCI e alla nascita del PDS (e poi alla vicenda dei DS, della Margherita, dell’Ulivo e infine del PD), non ci fu una vera Bad Godesberg nella sinistra italiana, che gettasse le basi di un maturo e solido riformismo, non ci fu una riflessione sulla lunga storia del dialogo con i cattolici, non venne in mente a nessuno di aprire una discussione sulla natura del partito che veniva in essere, per tentare almeno di farne un partito "nuovo" nella natura e nelle strutture e non soltanto un nuovo partito, che si tirava dietro tutti gli irrisolti problemi del passato. Come oggi chiunque può constatare.

 

Si è cioè persa l’occasione di imprimere alla vita politica del paese una svolta reale e così da venti anni a questa parte si va avanti a scossoni e recriminazioni, con forze politiche che promettono molto e poco o niente realizzano, vittime esse stesse per prime della diffusa corruzione, con l’emersione di populismi ribellistici e inconcludenti, con le gestioni pubbliche, centrali e locali, che si rivelano sempre più inadeguate, con la stessa magistratura che presenta contrasti interni irrisolti, non riesce a definire il proprio ruolo di terzietà nella funzione di garanzia della legge ed è tentata dal rivestirsi di una funzione di contropotere che non le compete. 

 

Il discorso ovviamente non riguarda soltanto il Partito democratico, ma la sinistra in senso ampio. E desta perciò meraviglia leggere, ad esempio, su Repubblica (di mercoledì 29 aprile) ed a firma del suo direttore, a commento delle esplosive tensioni interne al partito e al gruppo parlamentare alla Camera, una apoteosi dei partiti che "sono, cultura, valori, storia e tradizione, quel che fa muovere le bandiere", cioè, in parole meno alate, appello a riferimenti di stampo prettamente conservatore quali l’identità e l’appartenenza ignorando il fatto che proprio la Costituzione fa dei partiti il luogo in cui i cittadini si trovano per fare politica, cioè per farsi strumento del futuro (o, se più vi piace, dell’avvenire, come un tempo si diceva). 

  

Certo qualcosa sta avvenendo nel PD, che forse potrebbe determinare una spinta verso un dibattito interno, doloroso certamente, ma proficuo: l’ala più critica nei confronti di Renzi si è divisa nel voto sulla fiducia del 30 aprile, un fatto significativo, auspicabilmente l’indice di una volontà di evitare ogni arroccamento,

 

 


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