Il pesce puzza dalla testa, si usa dire. Non è una cattiva idea quindi, contro le inefficienze della Pubblica amministrazione, fare in modo che non siano più intoccabili i capi non altezza. Pertanto, va accolta con favore l’intenzione del governo – annunciata da Marianna Madia in un’intervista a Repubblica - di introdurre la possibilità che un “dirigente inadeguato” possa non essere confermato nel suo incarico e nei casi più estremi essere licenziato. Questo in teoria. Nella pratica emergono invece inesorabili alcune perplessità di merito.
A iniziare dai modi attraverso i quali si intenderebbe valutare l’operato dei dirigenti pubblici, puntando, più che sull’effettivo rispetto delle regole e sul risultato da questi ottenuto, sulla sacra valutazione della solita, sovrana e immancabile commissione, sedicente super partes, “composta da tecnici che deciderà quali sono i dirigenti adatti per un determinato incarico anche sulla base del lavoro svolto in precedenza e sulla base della loro stessa capacità di valutare i propri collaboratori...”.
Madia parla di "una vera rivoluzione", che tuttavia non sembra tenga in debito conto altri fattori che condizionano la vita di un capo nella P.A. anche capace e bravo. Chi poco conosce l’andazzo, sa che il capitale umano che un dirigente pubblico ha a disposizione non sempre risponde alle esigenze e gli strumenti per rimediare sono scarsi. Un po’ come i parenti, i collaboratori nel pubblico impiego te li trovi e non te li scegli, salvo casi eccezionali. E l'impotenza contro i fannulloni e gli incapaci può essere bypassato solo ignorandone l’esistenza e contando sul poco di buono che si ha la fortuna di trovare.
In questo senso, la legge allo studio - che “entro l’estate dovrebbe (occhio al condizionale usato dalla ministra ndr) essere legge” - appare nei punti essenziali conservatrice, come dimostra ad esempio la mancata equiparazione fra pubblico e privato sul fronte Jobs act.
Così, il pubblico impiego continuerà a essere una mastodontica oasi felice, perché - dice Madia - il “lavoro pubblico è diverso: chi licenzia non è un imprenditore che decide con le proprie risorse”. Le risorse sono infatti dello Stato, di tutti quindi, cioè di Pantalone, che paga e mantiene anche chi non se lo merita. A meno che, come assicura la ministra, “lo stesso obiettivo" non si possa raggiungere “in altro modo”. Come? Rendendo “più semplici i procedimenti disciplinari, quelli per scarso rendimento”, con “procedure specifiche per contrastare i casi di assenze di massa, come quelle dei vigili di Roma lo scorso Capodanno, o di assenze sospette (tutti i venerdì o i lunedì)".
Belle parole, già sentite miliardi di volte negli anni, che si scontrano col muro di gomma dei fatti anche se diventano legge, come sa anche Madia nel Paese delle Meraviglie, mentre si sforza maldestramente di far credere che la P.A. non è più un’inviolabile cassa piena di voti!
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