La riunione dei Ministri economici europei della scorsa settimana non è apparsa sensibile al canto delle sirene di Matteo Renzi, soprattutto perché sembra che i partner nell’Unione, che fino a poco fa si accontentavano dei programmi proposti dai nostri governi (a cominciare dai tempi di Berlusconi), si siano resi conto del fatto che fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio e quindi prima di dare segnali di via libera occorrerà attendere che le misure annunciate dal governo si siano effettivamente concretizzate e, soprattutto, abbiano prodotto effetti verificabili.
La posizione dei rigoristi risulta poi oggi rafforzata dal fatto che la Spagna ha dato corso alle ricette di Bruxelles e, dopo la cura, sta cominciando a risalire la china. Il nostro paese invece, nel frattempo, è in recessione e vede ogni giorno più a rischio le prospettive future, in particolare per quanto riguarda le speranze di lavoro per le giovani generazioni.
Nelle prossime settimane dovranno vedere la luce il Documento di economia e finanza e la Legge di stabilità e da questi documenti sarà possibile trarre elementi di giudizio per le prospettive che il paese ha davanti; ma intanto non si può non prendere atto del fatto che sul problema della riforma del lavoro la maggioranza è pericolante alla Camera mentre su quella della giustizia lo è al Senato e che per il PD entrare nel merito di innovazioni in questi due campi significa esporsi a rischi non indifferenti.
Nell’ambito del lavoro ogni tentativo di dare al nostro paese una legislazione che si uniformi al quadro di un’economia di mercato (come hanno fatto ormai tutti o quasi i paesi industrializzati) comporta infatti una rottura con il mondo sindacale, mentre ogni riforma della giustizia si scontra con le posizioni conservatrici che animano le magistrature, come si è evidenziato proprio in questi giorni, nonostante che il quadro delle proposte governative sia tutt’altro che aperto a quelle riforme che consentano alla nostra giustizia di evitare le continue condanne al livello europeo.
Sul terreno economico la spending review procede a rilento, condizionando significativamente la possibilità di incisivi interventi in materia di riduzione del carico fiscale. Il governo sembra fare molto affidamento sulla diminuzione del peso degli interessi sui titoli del debito pubblico legata al famoso spread, oggi a quote basse; ma è del tutto evidente che, ove l’Italia non affronti seriamente il problema del mastodontico debito pubblico accumulato, l’attuale condizione di bonaccia appare destinata a rapido esaurimento. E il livello dello spread poi non è nemmeno contenuto nel quadro europeo, ma è il risultato della fiducia che i possessori (in tutto il mondo) dei nostri titoli ripongono nelle nostre possibilità di solvenza.
E fino al giugno dell’anno prossimo, intanto, la nostra situazione finanziaria ed economica sarà controllata e sottoposta a verifiche, con buona pace del premier.
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