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17/11/24 ore

La stretta di Renzi


  • Silvio Pergameno

La politica riformista del governo Renzi si viene rapidamente precisando nel suo procedere e nelle sue finalità come una politica di emergenza, stretta tra la necessità di destreggiarsi tra una politica di riforme rese indispensabili nel tentativo di fronteggiare la crisi economico-finanziaria nella quale il paese si dibatte, con conseguenze molto pesanti sull’occupazione, il peso di un corposo debito pubblico la cui espansione appare irrefrenabile e soprattutto la circostanza che lo schieramento partitico vive in abbondanza di spesa pubblica.

 

E questo perchè il taglio della spesa pubblica colpisce partiti politici e sindacati, che sono quindi sul piede di guerra contro i tagli, e mobilita i gruppi parlamentari sotto la spinta delle formazioni politiche che garantiscono la rielezione. Sono decenni che noi radicali sottolineiamo il fatto che il nostro è un paese che vive troppo di politica nel senso peggiore del termine!

 

Renzi perciò è stato costretto a prendere il problema alla larga: la riforma del Senato con il trasferimento del potere di elezione dagli elettori ai comuni e alle regioni sembra fatta apposta per valorizzare il partito dei sindaci, e trovare quindi rispondenza nel Partito democratico e in Forza Italia, rendendo accettabili le innovazioni (in quanto garantisce a questi due partiti un congruo numero di eletti). E il nuovo Senato non sarà dominato dal partito dei sindaci: non sarà un controllore controllato?

 

Le esigenze di questo percorso rendono comprensibile il fatto che le riforme istituzionali in corso non hanno formato oggetto di un dibattito nazionale e risultano largamente insoddisfacenti sotto il profilo dei contenuti: la riforma della costituzione offre abbastanza poco, tanto per fare un esempio, sotto il profilo della governabilità, perché se è vero che l’eliminazione della camera alta dal processo di formazione delle leggi comporterà un’accelerazione dei lavori parlamentari è anche vero che il problema della governabilità non viene affrontato e i nuovi governi del futuro continueranno a restare esposti al beneplacito dell’assemblea e cioè al dominio dei partiti.

 

E già al riguardo si è rivelato come le opposizioni alla riforma siano animate da spinte molto interessate, come quando si registra che molte paure si concentrano sul fatto che il partito maggioritario, per effetto del premio di maggioranza, potrà avere il monopolio della nomina di vertici istituzionali della massima rilevanza (presidente della repubblica, giudici costituzionali, membri del CSM…)…

 

Laddove il problema dovrebbe essere impostato sul rapporto "governo – parlamento", considerando che il partito di maggioranza è un partito come gli altri, con difetti paralleli a quelli di tutti gli altri…

 

Ma in effetti occorre considerare il fatto che da trent’anni sbattiamo sempre contro gli stessi problemi e da trent’anni il paese vive in un condizione di stallo istituzionale, al quale vanno rapportate gran parte delle "cause" delle crisi che ci affligge. Da trent’anni non si fa una riforma!

 

Il Presidente del Consiglio si è recato giorni  fa al Quirinale dove ha ricevuto la raccomandazione di non seguire percorsi innovativi che comportino "divisioni". Perché occorre assicurare al massimo la percorribilità, ovviamente. Significative al riguardo le proposte in materia di riforme della giustizia; in materia di giustizia civile il tema dominante appare quello dell’accelerazione dei processi (preliminare il tentativo di mediazione,  obbligo di precisare strettamente l’oggetto del giudizio all’atto della prima udienza, restrizioni in materia di appello…) riforme sulle quali la collaborazione dei giudici è assicurata, mentre la materia penale e quella delle intercettazioni appaiono trovarsi su una strada molto più accidentata, anche se riforme essenziali per cercare di assicurare un processo veramente degno di uno stato democratico  (habeas corpus, separazione delle carriere, obbligatorietà dell’azione penale, carcerazione preventiva…) non sono nemmeno considerate tra gli argomenti da mettere in discussione, tanto appaiono…divisorie!   

 

Questo non significa disconoscere che l’accelerazione di processi civili sia argomento della massima rilevanza (anche proprio in materia di lavoro, dove proprio le innovazioni sono tra le più difficili); comporta solo la riflessione sul fatto che un avanzamento della nostra democrazia resta legato a profondi cambiamenti nella nostra classe politica e a grandi innovazioni nel campo della cultura.

 

 


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