Il decreto legge che detta nuove disposizioni, tra l’altro, anche in materia di custodia cautelare (carcerazione preventiva), tema particolarmente sensibile (e non proprio gradito negli ambienti giudiziari). La norma appare decisamente restrittiva, in quanto abroga quell’automatismo, esistente, che prevedeva l’inapplicabilità della custodia cautelare in caso di imputazione per reati punibili con pena (edittale) inferiore ai tre anni.
Tale disposizione viene sostituita con altra che stabilisce che sarà il giudice ad esprimere caso per caso un giudizio preventivo sulla pena concretamente applicabile all’esito del processo, al fine di evitare che l’imputato subisca una limitazione della propria libertà in via cautelare rispetto a una pena che non dovrà essere eseguita all’esito della condanna.
Le migliori intenzioni, dunque? In verità c’è da restare molto perplessi. Sembra, infatti, che si preveda una sorta di pre-giudizio, di delibazione anticipata, a seguito del quale è vero che il giudice, di fronte a una accusa che appaia ictu oculi del tutto infondata, o almeno problematica, potrà dire che l’imputato resta a piede libero, anche se la pena prevista dalla legge penale per il reato di cui all’imputazione è superiore ai tre anni, ma non si vede perché questa norma debba sostituire quella preesistente, che evidentemente era fondata sul principio che per i reati con pena fino a tre anni la custodia cautelare non si applicava, evidentemente perché non si trattava di reati gravi.
In effetti non è dato comprendere sulla base di quali motivazioni, se non quelle considerate dalla procura, il giudice possa orientarsi per stabilire come andrà a finire il processo, a meno di non voler pensare che prima di lui si siano commessi errori madornali, anche perché, se la valutazione deve essere fatta sul probabile esito del processo, il presunto innocente può finire in gattabuia anche se non c’è alcun pericolo che possa scappare, o inquinare le prove o reiterare il reato (o meglio del “fatto”,perché agli inizi della causa non si ancora se esso sussista, se configuri ipotesi reato, se sia l’imputato ad averlo commesso: forse doveva essere questa la materia, quella delle prove in atti, quella su cui lavorare in materia di carcerazione preventiva).
La custodia cautelare, infatti, è già di per sé un provvedimento abnorme, perché priva della libertà personale un soggetto non condannato ed è la conseguenza della mancanza nel nostro ordinamento di procedura penale di qualunque forma di habeas corpus (al solito: la scarsissima influenza del pensiero liberale nel nostro paese!). E non sembra che rappresenti un passo avanti una proposta di legge che finirebbe con il dover fornire ai giudici la sfera di cristallo, specialmente se si tiene conto delle incertezze che caratterizzano il corso di tanti giudizi.
Ora è ben vero che la riforma della giustizia non può essere fatta con finalità punitive nei confronti dei magistrati, ma non sembra che ci si metta sulla strada giusta, attribuendo ai giudici poteri dal contenuto incerto e privo di precisi limiti normativi. La strada è invece quella di trovare temi e luoghi per un confronto aperto e sincero, dal quale i progetti di legge possano trarre elementi di approfondimento in una materia delicatissima tanto a livello costituzionale quanto a quello dei diritti della persona, come è appunto la materia dei delitti e delle pene.
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