Nel presentare la notizia dell’apertura del semestre europeo del governo italiano, «la Repubblica» titola: “Renzi lancia semestre europeo / ‘Sogno Stati uniti d’Europa’”. E in effetti il presidente del Consiglio scrive sul sito web: “Non provate un brivido pensando di essere chiamati oggi a realizzare quel sogno degli Stati Uniti d'Europa, avuto da quella generazione che nelle macerie del dopoguerra iniziò la creazione di un nuovo soggetto?”.
Ancora una volta Matteo Renzi dà un saggio del suo stile comunicativo, fondato su parole di effetto, a loro modo seducenti, ma che hanno poco o nulla a che fare coi dati reali della sua azione politica.
Si parla del “sogno” degli Stati uniti d’Europa, senza che per quel sogno ci si sia mai spesi più di tanto. L’uso che se ne fa è già logoro prima ancora di essere recepito dal pubblico potenziale al quale si rivolge, perché chi ascolta o legge non può fare a meno di rilevare che, sin dall’esordio del suo governo, Renzi ha di fatto operato per oscurare, esaurire o neutralizzare politiche e soggetti che quegli “Stati uniti d’Europa” avevano come obiettivo.
Il tasso di attendibilità di dichiarazioni simili è dunque consumato dal riscontro effettuale. Risponde, tuttavia, a un esercizio quanto mai praticato dal politicantismo odierno: strappare ideali, masticarli ben bene fino a ridurli a un bolo insignificante, da far inghiottire e digerire sulla scena mediatica.
“Stati uniti d’Europa” è semplicemente il contrario di “unione europea”, perfino a livello di semantica politica. Laddove il primo termine richiama una concezione federale e democratica, il secondo evoca l’unione di stati tenuti insieme dall’apparato burocratico come avveniva nei paesi del socialismo reale. Da quanto se ne sia davvero consapevoli, dipende il grado effettivo di credibilità politica di chi vuole essere protagonista di un processo di rinnovamento dell’Europa.
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