Su «la Repubblica» Maria Elena Vincenzi scomoda Luigi Einaudi, la "prefettocrazia" di Salvemini e finanche lo scrittore della Finis Austriae Joseph Roth che parlava di burocrazia "ottusa e nera", per bombardare il prefetto di Perugia Antonio Reppucci. E di certo il prefetto ci ha messo del suo per mettersi nella condizione di incarnare l’"arroganza" del potere burocratico, con quella conferenza stampa piena di espressioni colorite e che culminano con la denuncia dell’arretramento delle famiglie e la caduta del ruolo genitoriale.
È stato quello il chiodo al quale prontamente lo ha appeso il ministro dell’Interno Alfano, che ha giudicato "gravi e inaccettabili" le dichiarazioni sulle "madri fallite che devono suicidarsi" per non essersi accorte che i figli si drogano. Il ministro ha concluso che Reppucci "non può restare lì né altrove", guadagnandosi così il ringraziamento del premier Matteo Renzi che alle 22:31 del 21 giugno ha twittato: "Le frasi del Prefetto di Perugia sono inaccettabili, specie per un servitore dello Stato. Sono grato al Ministro Alfano per l’intervento".
Così, nel teatro del "Così è se vi appare" i ruoli in commedia sono stati tutti assegnati. Antonio Reppucci è il reprobo da condannare, sia perché inopportunamente insiste a usare il vernacolo (quanto scandalo per questo, nei twitter dei followers del presidente del Consiglio!) e sia perché, da vero "bruto", ha maltrattato le mamme; ministro e premier sono i difensori dei cittadini e s’intestano con poco sforzo la lotta alla burocrazia. I giornali, come al solito, fanno il coro compiacente.
Mentre restiamo incantati dal ruotare del caleidoscopico susseguirsi di messaggi e discorsi, si fa strame ancora una volta delle regole, del buon senso e della onestà intellettuale. La rimozione del prefetto avviene per ragioni che prescindono dal giudizio sul suo operato, ma in nome di un opportunistico gioco nutrito da una propaganda politica di bassa lega.
Un ministro che ha molto da farsi perdonare dagli italiani – dalla gestione del caso Shalabayeva alle trattative con Genny la carogna, per finire alle inutili e inopportune vanterie per l’inchiesta di Brembate – si atteggia a implacabile censore, mentre il presidente del Consiglio non esita a sfruttare l’occasione per testimoniare una volontà di rinnovamento dell’assetto burocratico che stenta a prendere corpo realmente, né trova nei provvedimenti annunciati il benché minimo fondamento (basti pensare che la cosiddetta riforma della P.A. ha totalmente trascurato di affrontare meritocrazia e responsabilità).
Onestà intellettuale vorrebbe, infine, che la vera colpa del prefetto di Perugia, al di là della sguaiataggine, vada piuttosto individuata nel suo essersi posto in contrasto con il mainstream profondo che contraddistingue il nostro tempo. Vale a dire l’idea che vuole l’individuo irresponsabile, perennemente "minorenne" bisognoso delle cure sollecite dello Stato.
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