Su queste pagine abbiamo più volte cercato di delineare, attraverso i vari aspetti sociali e politici implicati, un quadro analitico il più ampio possibile dello scenario dell’informazione in Italia e delle sue implicanze attive e passive con la base sociale come con le strutture di potere.
Ad oggi, tirando le somme, nonostante i venti di cambiamento a colpi di slide, di tweet, di chat o di rinuncia agli exit poll la struttura delle quattro colonne portanti dell’informazione televisiva di “regime”, o, meglio, il “modello culturale” delle stesse non è certamente mutato. Qualunque sia il telegiornale, l'approfondimento mattutino, pomeridiano o serale.
La pubblicissima RAI rimane uno strumento lottizzato e clientelare di un “servizio pubblico” forse meno fittizio solo di quello di Santoro; la TV dell’ex cavaliere, la Mediaset, pur con la variabile di aver per prima rotto il monopolio Rai ed immesso contenuti nuovi, fra cui l’apertura del mercato pubblicitario televisivo, rimane al palo di una strutturazione anti-rai che dei contenuti culturali e umani della Rai stessa si è nutrita e quindi ripropone gli stessi imbarazzanti schemi; La7 anche in bilico tra il privato e il pubblico dopo il tentativo degli anni ottanta e novanta di creare un media un po’ più “smart” e di nicchia rispetto al duopolio Rai-Mediaset con la gestione di Telecom prima e di Cairo poi produce una tv perfettamente integrata nel “sistema” italiano; Sky infine, pur con la differenza sostanziale di un riferimento a logiche da multinazionale che le sono ovviamente proprie, si adatta allo schema rispettando anche lei quelle “regole del gioco” non scritte che sottendono al modus operandi del media televisivo italico.
I personaggi sono sempre gli stessi, le culture stereotipizzate di riferimento sono sempre quelle, l’informazione diviene argilla da plasmare a piacimento della trasmissione delle direttive delle élite al “popolo bue”, il “continuismo” che le corporazioni hanno messo in essere contribuisce alla riproduzione di quella base sociale che abbiamo definito la “società delle conseguenze”: questo il modello culturale dell’informazione di regime di cui ci parla il direttore Rippa nel suo Videoeditoriale.
Un modello che fa sparire gli scomodi, come i radicali, ma che, nel suo essere totalizzante diviene piattaforma condivisa a cui nessuno, nemmeno le vittime, riescono a sottrarsi. Così abbiamo dei paradossi come Radio Radicale che, pur avendo degli indiscutibili meriti quali quelli di essere una archivio reale di quello che istituzioni, partiti, parti sociali e culturali dicono e fanno, non riesce ad essere cosa altra rispetto a questo sistema, non riesce oramai più ad identificarlo e ad incalzarlo e, quindi, lo subisce. (R.G.)
Il modello culturale dell'informazione di Regime video editoriale di Giuseppe Rippa (Agenzia Radicale Video)
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