Nonostante il primo decreto legge del nostro neo-premier ci abbia prontamente (in omaggio al profondo rapporto che lo lega agli enti locali, “fatevelo dire da un sindaco”) messo una pezza, non si placa l’affaire sollevatosi attorno all’inquietante (quasi quanto la disoccupazione giovanile) debito che la Capitale ha accumulato non si sa da quando (qualcuno parla addirittura delle Olimpiadi del ’60 e pensare che, fino a poco tempo fa, si parlava della candidatura per quelle del 2024), per una “cattiva gestione”, anche questa fumosa nei tempi come nelle responsabilità. Così, ricette e polemiche continuano ad impegnare inchiostro, carta, tempo etere e linee dati.
La senatrice Lanzillotta aggiunge, con una mini intervista sul Corriere della Sera, l’ultimo capitolo, per adesso, di questa bagarre che la contrappone al sindaco Marino da dicembre. Il concetto è sempre quello: la soluzione è aumentare la percentuale di privatizzazione di Acea che la senatrice ha già proposto in Parlamento a dicembre e a gennaio.
Secondo l’opinione della senatrice, Il Campidoglio dovrebbe così fare i conti con i privati pur mantenendo la quota di maggioranza e questo aiuterebbe a ristrutturare un organico troppo gonfiato dalle clientele. La domanda del giornalista del Corriere a questa asserzione è la più logica con queste premesse: “Sta chiedendo a Marino di licenziare i lavoratori comunali in esubero?” La risposta è anch’essa logica pur secondo tutt’altro schema interpretativo: “No. Se ci sono esuberi, i lavoratori devono essere ricollocati in altre attività anche con il sostegno, per alcuni anni, dello Stato.”
Risparmiare soldi solo vendendo quote? C’è qualcosa che non torna e non si capisce questo insistere dalla senatrice su quell’unico fronte…Forse perché quando lei era nella giunta Rutelli la vendita del primo blocco del 49% (attualmente i due maggiori azionisti oltre al 51% del comune sono il Gruppo Caltagirone con il 16% e la nazionalizzata francese dell’energia e della gestione dei rifiuti Suez Environement Company SA con il 12%) delle azioni di Acea portò qualche soldo al già disastrato comune. Qualche soldo che comunque non mitigò la situazione dato che dopo pochi anni il Comune dovette rinegoziare per il debito minacciato dai tagli agli enti locali ed un altro sindaco all’epoca (Veltroni) “minacciò” di spegnere le luci.
La senatrice smentisce comunque ogni responsabilità con un “simpatico” paragone: il debito pubblico italiano mica può essere attribuito all’operato di Ciampi o di Dini? Si fa strada sempre con più vigore una doppia ipotesi: o c’è un punto zero nella Storia dove le responsabilità di tutti i mali del mondo possono essere concentrate in poche mani, oppure sono tutti colpevoli, ma nessuno abbastanza.
Fatto sta che, nonostante tutti abbiano le risposte, nessuno, compreso chi è stato coinvolto direttamente nella gestione della faccenda, ha provveduto a portare a casa un successo, se pur parziale, duraturo.
Il debito aumenta, il premier interviene ed i sindaci ringraziano per questa iniezione di morfina che allontanerà ancora un po’ nelle tenebre dell’incoscienza lo spettro del dissesto finanziario (considerando che la Corte dei Conti aveva già dichiarato un sicuro dissesto per il debito di quasi 800 milioni del comune di Napoli e molti comuni italiani grandi e piccoli non stanno meglio).
Del resto, a latere potremmo rilevare che lo stesso premier lascia la sua poltrona da sindaco con un debito del comune di Firenze decisamente importante, che lui, da primo cittadino, ha contribuito solo a far aumentare insieme alle tasse, perfettamente in linea, fatti i dovuti distinguo, con il modello della Capitale e dello Stato stesso che è ora andato a guidare.
La ricetta è quella, il cambiamento si mescola ambiguamente con l’avvicendamento ed una versione riveduta e corretta degli anni Novanta sembra sempre più possibilmente in arrivo: aumento del debito, della disoccupazione, delle tasse e privatizzazioni all’italiana…
Che dire? Pur nella speranza che questa sia solo un’analisi troppo severa non possiamo fare a meno di notare e rilevare i segnali che vanno in questa direzione con quello spirito da avamposto di tenuta democratica che ci siamo in tanti anni ritagliati. Speriamo che la coscienza democratica di questo paese, dal popolo alla classe dirigente, sia meno sorda di quanto sembra e che questo cambiamento, nonostante il quadro fosco ed ambiguo che abbiamo delineato, si possa effettivamente convertire in una reale occasione di crescita civile per la Repubblica.
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