A Matteo Renzi, ormai primo ministro, bisogna proprio augurare che il suo governo tutto sia, meno che quello della Leopolda, la prima stazione ferroviaria di Firenze messa in opera, la cui costruzione andava avanti tuttavia così a rilento, che fu sorpassata nell’ultimazione e nell’inaugurazione da quella di Santa Maria Novella, e dopo breve tempo finì rottamata e ridotta a deposito e officina per le riparazioni….
Certamente il suo governo, nato come frutto di “larghe intese”, speriamo che in pratica si caratterizzi nella sua opera non tanto come tale ma come governo del bastone e della carota (absit iniuria verbo) perché l’unica differenza dal precedente, o dai precedenti, non sta nelle intese cioè sul programma, ma sull’accelerazione fattiva della concreta prassi nel fare le cose. Governo “accelerato”? Non ferroviariamente.
Un banco di prova sarà la legge elettorale, che dovrebbe essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 15 marzo, ma che non si riesce a capire come possa essere congegnata, in quanto punto essenziale delle riforme auspicate è quella del Senato, non più “Camera dei deputati bis”, ma Camera delle regioni, che può venire in essere soltanto con una riforma costituzionale, sicuramente non attuabile per la data prefissata. E questa riforma dovrebbe servire proprio per sveltire le funzioni parlamentari e per impedire l’andirivieni tra le due Camere, la cui attuale composizione rischia a ogni piè sospinto non soltanto di rallentare l’approvazione di nuove leggi (che sarebbe una vera fortuna, visto che di leggi ne abbiamo fin troppe e meglio sarebbe di abolirne la maggior parte), ma la stessa sopravvivenza del Governo.
Ma se allora questa nuova legge deve riguardare le elezioni di Camera e Senato così come sono oggi, essa potrebbe servire solo per un’elezione a breve termine, cioè funzionerebbe come una mina sotto le poltrone degli attuali governanti, oppure sarebbe approvata con l’idea di non doversene mai servire, vero trionfo da Prima Repubblica. O forse il Matteo pensa di dirottare il Parlamento a sbranarsi su questa nuova legge in modo che non dia fastidio sul resto?
Ridicolo certamente. E allora? Forse la via di uscita ci potrebbe essere, anche se previsione fantasiosa. Si fa una nuova legge elettorale solo per la Camera, intanto, poi si approva la modifica del Senato e dopo si fa la nuova legge per il Senato. Oppure l’approvazione rapida è solo… “si fa tanto per dire”?
Comunque, staremo a vedere. Il governo Renzi di presenta come Governo dei Sindaci, cioè come governo di stampo presidenzialista o semipresidenzalista, alla francese, insomma. Sia pur di fatto, cioè non tanto nella formula giuridico-costituzionale, ma nella fattività, che peraltro può essere assicurata unicamente da una forte coesione interna della compagine governativa.
“Bastone e carota” diceva Churchill: bastone per Mussolini e carota per gli italiani, ma oggi bastone e carota servirebbe tutto all’interno del governo… Ce la farà Renzi? In parole povere, visto che mettere i problemi del paese sul terreno delle riforme, specialmente se “grandi”, è servito soltanto a perdere venti anni (anzi quaranta), si tenta adesso di mettere le riforme sull’unico terreno di fattibilità, che peraltro può essere assicurato soltanto all’interno del governo e dalla capacità di affrontare le incrostazioni tenaci che si trova di fronte. Se Renzi sopravvive, allora, dopo, si farà la “grande riforma”, anche sulla carta.
E del resto, in mancanza delle condizioni politiche reali, a cosa poteva servire una riforma sulla carta?
E qui occorre una riflessione: i rischi maggiori vengono certo dalla componente del nuovo centro destra presente nella compagine, che peraltro, nonostante le vere o artefatte illusioni di quanti la animano, non sembra avere grandi chanches sul terreno elettorale, né come destra, né come centro e quindi ha tutto l’interesse a starsene buona e quieta. E altrettanto si dica per il miracolato Berlusconi, che tra l’altro può sperare di veder realizzata da Renzi quella svolta nella governabilità ,che lui non è riuscito a realizzare, ma che appoggia con l’opposizione responsabile. Mentre D’Alema pensa ai livelli europei.
E il fatto che tanti sbraitino per andare alle elezioni è la prova provata che nessuno ci vuole andare, perché in realtà tutti andrebbero a perdere. E Renzi poi sa dove vuole andare: vuole andare a Bruxelles, per godersi il famoso semestre europeo, per il quale forse non a caso è andato a Berlino il 13 luglio 2013.
Non ci saranno guai? In politica mai dire mai. Anche perché il dimenticato “programma” potrebbe vendicarsi.
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