Europa, Timmermans, Schulz, Ucraina, crisi delle borse…non è un grande pasticcio. È la sintesi di una giornata, quella di ieri, nella quale viene quasi per caso offerta alla nostra attenzione una serie di eventi fortemente indicativi dell’attuale natura e consistenza del quadro europeo, proprio nel momento nel quale sta per aprirsi la campagna elettorale per le elezioni europee, che si terranno tra il 22 e 25 maggio.
E questi avvenimenti dicono tutti la stessa cosa. Timmermans, Ministro degli esteri dell’Olanda, dice che occorre ridare più poteri ai governi nazionali: salari, quote rosa, controllo sui media, assistenza e sicurezza sociale, accordi fra le parti sociali…Trionfo dell’euroscetticismo? Forse non è il caso di preoccuparsi troppo: un quotidiano come Repubblica non parla affatto dell’episodio, al quale invece il Corriere della Sera dedica un ampio servizio.
Timmermans, ha convocato venerdì scorso all’Aia una riunione di funzionari dei Ministeri degli esteri di tutti i paesi dell’Unione, proviene dalla carriera diplomatica ed è quindi naturale che affronti i problemi del futuro delle molte centinaia di milioni di europei dal punto di vista corporativo dei poteri e delle competenze della diplomazia del suo Ministero, in quanto la consistenza tutta nazionale delle strutture europee non può avere altra conseguenza che il rattrappirsi della politica; Timmermans, e qui il problema è più grosso, è esponente del Partito del Lavoro olandese (Partij van der Arbeid), socialdemocratico, che aderisce al Partito Socialista Europeo e all’Internazionale Socialista, la stessa famiglia politica di Martin Schulz, Presidente del Parlamento Europeo ed esponente di primo piano dell’SPD, la socialdemocrazia tedesca.
E Schulz è stato intervistato da Repubblica, sempre ieri, sul ruolo dell’Europa nella rivolta che agita l’Ucraina, quell’Ucraina che non vuole perdere il treno per l’Europa, vuole sottrarla all’incubo russo, vuole tirar fuori Yulia Timoshenko dal carcere… Schulz, però, auspica fortemente che Ianukovich, presidente ucraino, e gli insorti delle strade e delle piazze raggiungano un accordo, fa presente che per ora non può parlarsi di sanzioni europee, auspica che sia coinvolta la Russia, invita a non dimenticare gli storici legami tra i due paesi (si fa per dire) e il fatto che Kiev fu la prima capitale della Russia (siamo sicuri?), richiama le offerte formulate dal premier ucraino ai leaders delle sommosse, e dice che dall’esterno la sua impressione è che l’opposizione debba usare meglio gli spiragli offerti da Viktor Ianukovich.
E già: dall’esterno (?!) per dire una mezza parola di placida saggezza in un dialogo fra maggioranza e opposizione, in un normale clima di far play fra forze politiche che si legittimano a vicenda, secondo le regole auree della democrazia…. e dice pure che l’Europa deve parlare con una voce sola, così’ si farà sentire…Intanto oggi a Kiev arriva l’alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione Europea, Catherine baronessa Ashton, forte dei successi di Vilnius, pochi giorni fa.
Schulz: la voce del Parlamento europeo. Poi si capisce perchè, scendendo appena un gradino nella gerarchia - o, forse, salendolo - le conseguenze sono Timmermans e gli altri burocrati di ventotto capitali. Le socialdemocrazie poi, in particolare nel Nord-Europa, sono state sempre assolutamente lontane dalla dimensione europea, tutte concentrate nella costruzione dello stato sociale più bello del mondo. Ma…
Ma intanto la crisi dei paesi emergenti fa crollare le borse e apre una nuova grave fase di incertezze nel panorama economico di tutto il mondo, noi europei in prima fila. Il fatto è che il mercato globale, abbandonato a se stesso, si comporta in maniera suicida, come ogni mercato abbandonato a se stesso. La storia è vecchia.
Già negli anni trenta del secolo scorso economisti avveduti, di matrice liberale ma liberisti con saggezza , sensibili alle questioni sociali e attenti a cercare di capire le ragioni della grande crisi del 1929 (e degli anni successivi) avevano capito che la lotta per la concorrenza, come del resto ogni lotta, tende di per se stessa a produrre un vincitore, nella fattispecie il monopolio (come succede proprio oggi, dove concorrenza e mercato sono sempre più dominati dalla grande finanza); in Italia portavoce ne è stato Luigi Einaudi. Non erano keynesiani, non erano per il deficit spending, volevano i conti in ordine e proprio Einaudi volle nella costituzione il famoso - o famigerato, secondo i punti di vista - art. 81, quello che impone che ogni legge di spesa deve indicare i mezzi con cui farvi fronte (qui da noi poi andò a finire, come è noto, che fu creato un fondo apposito, destinato a coprire tutte le leggine di spesa, le più…interessanti).
In Germania, fu la scuola economica di Friburgo, ancora ai tempi di Hitler, che elaborò la dottrina conosciuta come “ordoliberalismus”: mercato, concorrenza, meritocrazia, ma attenzione per le masse e profondo attaccamento allo stato di diritto. E’ da quella scuola che nascerà quell’Economia Sociale di Mercato che ha fatto contemporaneamente forte e solidale la Germania di oggi, con un sindacato capace anche di imporre sacrifici prima di tutto ai suoi iscritti e con una socialdemocrazia che nei primi anni duemila avvia in Germania quelle riforme che Spagna, Irlanda e Grecia sono riuscite a porre in essere (sotto pressione tedesco-europea) solo anni dopo, che la Francia oggi si avvia a deliberare con Hollande e che un’Italia, tentennante e altalenante, ha realizzato solo in parte (e non diamo la colpa solo alla Susanna Camusso).
Ma c’è una premessa: per salvare la concorrenza e il merito occorre un mercato di dimensioni tali da rendere almeno concepibile la concorrenza. Facciamo il solito esempio estremistico: in Lussemburgo o a San Marino o nella Repubblica di Andorra quale mercato concorrenziale potrebbe istituirsi tra grandi produttori di acciaio o di automobili? Non è un caso che la maggiore economia europea, quella tedesca, viaggi proprio sulle esportazioni, per cui oggi, con la crisi che sta investendo i paesi emergenti, è esposta a un rischio enorme.
Un rischio dal quale può salvarsi se al posto di una zona di libero scambio (o quel poco di più che è l’Unione Europea) ci mettiamo tutti in testa che dobbiamo creare un vero mercato europeo con le sue regole, che solo un vero stato di diritto può produrre e garantire, secondo i principi di Einaudi e degli ordoliberali: cinquecento milioni di abitanti dei quali oltre cento affamati di crescita (e con l’Ucraina sarebbero centocinquanta), capace di investimenti pubblici veri, di new deal veri e fornito dello status e dell’ autorevolezza per trattare con la Turchia e la Russia condizioni di associazione sul proprio modello: un mercato nel cui ambito molta concorrenza sarebbe possibile, garantita da un governo e un parlamento capace di dettare le regole e di farle rispettare.
Schulz giustamente accenna alla necessità di tenere coinvolta la Russia, ma da dove si alzerà questa sola voce dell’Europa, cui egli pure fa appello, quando le divisioni statuali portano ciascuno stato a pensare al proprio tornaconto immediato, che poi consiste nella sommatoria degli interessi delle infinite corporazioni in cui si frammenta il popolo europeo, la nazione Europa? Sorda al grido di dolore che viene dall’Ucraina che ha paura dei russi, se non altro in memoria dei tempi di Stalin: l’Europa degli euroscettici, che non commuove e non entusiasma nessuno.
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