Sarà una coincidenza, ma quasi contemporaneamente il Presidente francese François Hollande e il cancelliere dello scacchiere inglese George Osborne sono intervenuti sulla questione Europa.
E’ da ritenere che per il Ministro inglese il movente vada ricercato nell’avvio della timida ripresa che potrebbe essere il segnale di un’inversione dell’andamento negativo dell’economia in questi ultimi anni, mentre per il Presidente francese sembra che sia il peggioramento della situazione francese a determinare l’annunciata svolta “liberista” e ad avviare un nuovo periodo di politica del sottobraccio con la Germania, come al tempo di Sarkozy.
Occorre fare attenzione, perché è un momento in cui i nodi stanno venendo al pettine; è una fase politica molto delicata. Non basta che François Hollande riesca a combinare una colazione di lavoro con Angela Merkel, mentre poi l’addition, il conto del ristorante (in tedesco Rechnung), lo pagano gli altri.
E in maggio ci sono le elezioni europee, in cui i vari partiti dovranno contarsi in una situazione che è diversa da quella delle precedenti consultazioni: oggi tutti i cittadini dell’Unione percepiscono che l’Europa ha un peso nelle decisioni che riguardano il loro presente e il loro futuro.
Comunque. Osborne reclama riforme in Europa, al fine di dar vita “nel continente”a un’economia più competitiva, per fronteggiare la concorrenza dei paesi emergenti, ben sapendo che il mercato europeo è di grande importanza anche per l’economia inglese.
Le economie europee e quella inglese marciano su strade diverse: più liberista e competitiva la seconda, con la strada tracciata a suo tempo da Margaret Thatcher e che il successivo periodo blairiano non ha capovolto (anche se lo stato inglese elargisce ampie forme di forme di assistenza), più dirigiste e meno competitive e flessibili le prime, anche se la Germania, nel corso di oltre sessanta anni di economia sociale di mercato – la famosa Soziale marktwirtschaft - ha messo in piedi un sistema economico altamente produttivo, socialmente solidale, ispirato ai principi della dottrina dell’ordoliberalismo (un’economia concorrenziale di mercato che salvaguarda nel contempo uno stato sociale, una sorta di ossimoro reso possibile dalla cosiddetta “Mitbestimmung”, la partecipazione delle parti sociali alla gestione delle imprese).
L’Inghilterra in realtà continua nella sua politica di mantenimento dell’Europa divisa e ha sempre in mente la creazione di una zona di libero scambio; solo che adesso il continente è in larghissima parte diventato “zona euro” e agli inglesi non passa nemmeno lontanamente per la testa l’idea di entrare in questa zona, rinunciando alla sterlina.
La zona euro, però, sotto il governo di fatto tedesco (domani un pò francotedesco?) presenta un panorama economico molto diverso da quello inglese, dove l’industria è stata smobilitata e quasi totalmente finanziarizzata, mentre soprattutto la Germania è una delle maggiori potenze industriali del mondo, la Francia la segue, l’Italia e la Spagna e gli altri pure hanno un’economia fondata sulla produzione di beni (industriali e agricoli) e via dicendo.
In Francia, Italia e Spagna, poi, i rapporti tra le parti sociali sono conflittuali, e caratterizzati anche da conflitti molto acuti, che tendono a comporsi su basi di accordi corporativi, in cui a pagare le spese – almeno in Italia - è lo stato, cioè i cittadini sottoposti a tassazione sempre più pesante per finanziare un conseguente debito pubblico, sempre più massiccio: una situazione che non rappresenta certo la miglior condizione per una prospettiva di evoluzione delle relazioni economiche nella direzione della flessibilità per favorire la competitività (sia pure con l’assistenza di adeguati istituti di ammortizzamento sociale).
In Europa poi non si sa chi governi la moneta, come tante volte è stato sottolineato nelle note di AR. Una vera follia, che ha tuttavia una causa ben precisa e storicamente sempre la stessa nel susseguirsi delle tappe del processo dell’integrazione europea: la Francia non vuol cedere in fatto di sovranità, anche se questa si esercita in un campo sempre più ristretto; la Germania invece è sempre stata disposta disposta a cessioni di sovranità ma, constatando che non si fanno passi avanti su questo terreno, comincia a valersi della sua potenza per comandare in Europa (facendo, certamente anche sbagli e con prospettive non prive di ampi margini di incertezza).
Così, quando nel 1989 l’URSS implode - quando crolla il Muro di Berlino e poi la Germania in breve si riunifica, quando cioè vengono meno i presupposti che erano stati alla base del processo di interazione europea agli inizi degli anni cinquanta del secolo scorso, cioè il mondo diviso in blocchi, la guerra fredda, l’URSS che comunistizza l’Europa orientale posta sotto la sua tutela, e, a garanzia di questa impalcatura, si sancisce la divisione della Germania per evitarne nuovi colpi di testa - i paesi europei si trovano a un bivio: hanno alle spalle quarant’anni di un processo di convergenza e di creazione di istituzioni comuni che garantiscono la storica fine di un plurisecolare percorso di guerre fratricide finito con i massacri del novecento e non possono smentirlo; questo processo si è articolato nel secondo dopoguerra nella costruzione di un faticoso percorso di integrazione economica (mercato comune, serpente monetario, altri progetti falliti, ripresi…) per cui, per andare avanti e non tornare indietro, non resta che la moneta unica.
Ma chi la governa? Il governo europeo non c’è; la Francia (c’era Mitterrand, presidente di sinistra, come nel 1954 – al momento del crollo della Comunità europea di difesa - c’era Mendè-France, lui pure presidente del Consiglio di sinistra) non vuol certo cedere sulla sovranità; la Germania invece non vuol rinunciare al marco, lo strumento monetario della ricostruzione della potenza economica tedesca, ma alla fine cede, però al patto che la nuova moneta sia regolata sulla base dei principi dell’economia tedesca: stabilità monetaria, pareggio del bilancio.
Sono i patti sanciti nel trattato di Maastricht, ai quali viene vincolata la Banca Centrale Europea, che, come si constata tutti i giorni, si divincola come può per attenuare il rigore teutonico, che ha una storia di successo alle spalle, ma un po’ anche alle spalle dei partner europei…
Oggi la Germania è l’unico paese in Europa che cresce ed ha un’economia forte; gli altri sono tutti più o meno nei guai; anche la Francia ha i suoi e Hollande non può che prenderne atto e riflettere sul ruolo della Francia nell’Unione Europea. Ma anche la Germania, paese leader in Europa, deve decidersi a ragionare tenendo conto dei problemi degli altri ed assumendosi responsabilità europee.
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