Giustizialista a capodanno, giustizialista tutto l’anno. Quasi a voler illustrare i propositi per l’anno nuovo, il vicedirettore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio si è scagliato con un editoriale contro la riforma della giustizia che dovrebbe approdare in Parlamento a gennaio. E lo ha fatto attraverso parole che, ancora una volta, manifestano l’assenza di qualsiasi remora garantista dalle parti del giornale di Padellaro e Co, oltre che di una consapevolezza della degenerazione di un sistema giudiziario ormai troppo spesso al di fuori dei fondamentali principi dello stato di diritto.
Dopo aver imposto all’intero dibattito pubblico il termine “svuota-carceri”, per riferirsi – in maniera demagogica – al decreto varato dal governo che mira ad alleggerire il disumano sovraffollamento carcerario (in modo, tra l’altro, molto timido, dal momento che esso riguarderà circa 3mila detenuti, a dispetto dei più di 20mila oltre la capienza), l’idolo manettaro della Rete ha immediatamente bollato come “legge anti-arresti” anche il disegno di legge sulla giustizia penale elaborato dalla commissione ministeriale presieduta dal magistrato Giovanni Canzio.
Il primo appunto che Travaglio ha sentito di dover sollevare, nella sua difesa acritica e simil-sindacalista dell’assetto vigente, si colloca su un piano strettamente personale. Ciò che infatti non va giù al giornalista del Fatto è che a presiedere la commissione di studio in tema di processo penale sia proprio il presidente della Corte d’appello di Milano Canzio, reo di aver impiegato addirittura un mese “per respingere la ricusazione dei giudici del processo Mills, regalando così a B. (Berlusconi, ndr) la sua ottava prescrizione”.
Insomma, afferma indirettamente Travaglio, non tutti i giudici sono come quelli della corte di Cassazione che lo scorso primo agosto confermarono in via definitiva la condanna per Silvio Berlusconi a tempo di record, bruciando con un’accelerazione a dir poco anomala tutte le tappe previste dalle normali procedure, e terminando poi con la deposizione dopo neanche un mese delle motivazioni, anch’esse al centro di polemiche per degli evidenti copia-incolla dalle sentenze precedenti.
A parte le frecciatine personali ed antiberlusconiane, comunque, anche le critiche di Travaglio sul merito e i contenuti del disegno di legge risultano poco sostenute da concrete argomentazioni. Il vicedirettore del Fatto, per esempio, attacca l’introduzione dell’obbligo per il giudice di interrogare l’indagato prima di arrestarlo. In questo modo, secondo il giornalista, “l’arrestando dovrà essere preavvertito col dovuto anticipo della prava intenzione dei giudici, convocato per l’interrogatorio e ivi informato dettagliatamente dei sospetti che gravano sul suo capo: così, ove ritenesse ingiusto il proprio arresto, avrà modo di dileguarsi per tempo”.
La lettura di Travaglio è chiaramente semplicistica e non corrispondente alla realtà. Effettuare l’interrogatorio prima della carcerazione, infatti, non significa dare la possibilità all’indagato di scappare, dal momento che questi potrà comunque essere sottoposto al fermo giudiziario prima di essere interrogato. L’obiettivo è evitare, come accade oggi, che l’indagato possa essere incarcerato e interrogato solo alcuni giorni dopo (entro cinque giorni).
Un altro punto sul quale Travaglio sofferma la propria attenzione è quello relativo alla possibile sostituzione del gip con un collegio composto da tre giudici. Sulla questione il vicedirettore del Fatto si esprime con la solita superficialità: da un lato sottolinea la mancanza di giudici (che però verrebbe contrastata con l’eliminazione del tribunale del Riesame), dall’altro evoca addirittura un aumento della litigiosità all’interno del collegio giudicante (“Ciò che oggi fa uno solo domani lo faranno in tre, così si spera che litighino fra loro e lascino perdere”).
Solo qualche giorno fa il quotidiano Tempi ha raccontato la storia di Antonio Lattanzi, ex assessore comunale in un paese abruzzese, accusato nel 2002 di tentata concussione e arrestato. Fu scarcerato dal tribunale del Riesame “a causa della mancanza di gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari”, ma il gip emise altre tre distinte ordinanze riportandolo in galera (ordinanze anch’esse in seguito annullate dal Riesame per le stessa motivazioni della prima).
Lattanzi, in pratica, fu arrestato quattro volte: il gip lo metteva agli arresti, il Riesame annullava la carcerazione preventiva, e il gip lo arrestava di nuovo. In questo modo, Lattanzi passò 83 giorni in carcere da innocente. Se al posto dell’unico gip ce ne fossero stati tre, l’intera vicenda avrebbe probabilmente conosciuto tutto un altro sviluppo. Ma questo, Travaglio, non lo dice.
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