“Puttana Eva”. Probabilmente, semplificando all’estremo, il problema sta tutto lì. In fondo, è tutta colpa sua. Troppo intelligente, troppo curiosa, troppo irresistibile, troppo peccatrice: Adamo non ha avuto scampo. Povero, ingenuo Adamo. E la vendetta, da quel momento, è diventata infinita.
Un lungo banchetto di piatti freddi. Quella vendetta, oggi, di biblico pare avere anche il nome, oltre che l’origine: femminicidio. L’omicidio di donne da parte di mariti, ex mariti, amanti, fidanzati, novelli Adami che amano e odiano e uccidono è entrato di prepotenza nella cronaca quotidiana.
Il caso sporadico è diventato contagio e conteggio. I nomi di giovani mogli, madri, conviventi, compagne si rincorrono senza sosta sui giornali, coronati dalle oramai comuni parole ‘pestaggio’, ‘botte’, ‘massacrata’, ‘pugnalata’ o da altre meno abituali come ‘sfigurata’ o ‘acido’.
Dal Nord al Sud della Penisola, un conflitto di genere degenerato e incontrollabile pare aver permeato la società, raggiungendo i toni accesi e brillanti dell’emergenza: ogni giorno, in Italia, un uomo si alza e sa che potrà arrogarsi il diritto di decidere della vita di una donna; ogni giorno, in Italia, una donna si alza e rivendica la sua libertà, con qualsiasi mezzo, attirandosi l’ira funesta del suo Orlando.
Ma le leggi della natura, quelle che governano gazzelle e leoni, non sono allo stesso modo applicabili all’animale sociale più evoluto, e la prospettiva allarmistica con cui i media e le istituzioni guardano a un quadro sicuramente inquietante, ha assunto un’angolazione troppo generalizzante.
Dire insomma che il maschio ha un primitivo bisogno di controllare, possedere, la sua femmina e per questo, alla fine, l’ammazza è pressoché uguale al dire che la femmina fa della provocazione e della spudoratezza le armi per smarcarsi dal suo ‘carceriere’. La sempreverde lotta tra i sessi diventa così terreno fertile per i semi di un’ideologia falsata, mistificante e, purtroppo, infruttuosa.
I titoloni in prima pagina e i riflessi condizionati ad essi legati, le task force e le misure urgenti di certo non contribuiranno alla risoluzione di un problema che, è evidente, è profondamente culturale. Non epidemico, ma endemico.
Non si intende certo qui criminalizzare i numeri e i tristi elenchi stilati dai quotidiani; ma questi, per intenderci, non sono il fulcro della questione perché non rivelano niente di nuovo né di terrificante su un Paese che – andrebbe ricordato – ha abolito l’articolo sul ‘delitto d’onore’ (587) solamente nel 1981; e si prestano troppo facilmente a quelle strumentalizzazioni così care ai talk show, ai moderni strilloni e ai preti annoiati di periferia.
Come rivelava qualche tempo fa Davide De Luca sul «Post.it», le statistiche e i dati ufficiali dimostrerebbero, contrariamente a quanto asserito vigorosamente dalla stampa, che non esiste un’emergenza ‘femminicidio’, anzi: nel Belpaese si ucciderebbero meno donne rispetto al resto d’Europa e degli altri paesi sviluppati e i casi di omicidio di donne per misoginia o violento maschilismo non sarebbero neppure in aumento.
A creare questo terrificante effetto ‘mago di Oz’, amplificando e stravolgendo i contorni di un problema che pure – è assodato – esiste da sempre, sarebbero stati ricerche e articoli non propriamente verificabili o corretti, dettati – è altrettanto assodato – non solo da una brama scandalistica, ma anche dalla volontà di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni.
Nell’analisi effettuata dalla ‘Casa delle donne’, ad esempio – spiega Davide De Luca – viene preso in esame, attraverso quanto riportato sui giornali, il numero crescente di omicidi di donne a partire dalle 84 assassinate nel 2005 fino alle 124 del 2012. Ma “una ricerca condotta sulla base degli articoli pubblicati sulla stampa – scrive il giornalista – non ha nessuna serietà scientifica: non è altro che una ricerca su quanto la stampa si è occupata di quel fenomeno”.
La giusta percezione di quanto sta accadendo, invece, dovrebbe scaturire dai dati forniti dalle fonti ufficiali, quali l’ISTAT e il ministero dell’Interno o da fonti affidabili come le ricerche indipendenti, pubblicate su riviste scientifiche attendibili.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto nazionale di statistica, infatti, il numero di donne uccise è rimasto sostanzialmente invariato (a 0,5 ogni 100.000 abitanti) dal 1992 al 2009 (ultimo anno di riferimento). Mentre il totale degli omicidi (di entrambi i sessi), prosegue l’ISTAT, è leggermente diminuito nel corso degli anni, quello specifico delle donne è rimasto costante: meno uomini ammazzati, dunque, che, sul totale, vuol dire più ‘morti femminili’, ma non un aumento del numero dei femminicidi.
Può dunque essere – conclude De Luca – che “mentre il totale di omicidi di donne sia rimasto costante, il sottoinsieme dei femminicidi veri e propri sia aumentato: può essere, ma non esistono dati per affermarlo”. Nelle statistiche, peraltro, non c’è la distinzione tra gli omicidi di donne compiuti da altre donne, da criminali comuni o per mano di uomini mentre il femminicidio in quanto tale presuppone che una donna muoia per mano di un partner o di un conoscente (molte volte innamorato e rifiutato).
Seminare il panico sperando che vengano adottate politiche emergenziali su dati – ingenuamente, in buona fede o furbescamente – non veritieri non appare perciò come la soluzione immediata o a lungo termine di un deficit della società che è interamente strutturale.
L’informazione può giocare brutti scherzi se disossata da uno scheletro di verità e correttezza, imprescindibile per ottenere soluzioni a lunga scadenza: il governo deve garantire la tutela delle sue cittadine e l’applicazione severa delle pene per le molestie e le atrocità commesse nei confronti delle donne, certo. Ma la violenza di genere, probabile retaggio di una ancora oggi inspiegabile e indefinita paura nei confronti della donna, va combattuta all’interno di quei nuclei indispensabili per la formazione umana: la casa, la scuola, gli ambienti lavorativi. Solo raramente, e in secondo momento, nelle aule del Parlamento e in quelle dei tribunali.
Leggi ad hoc sulla tutela delle donne dovrebbero essere l’eccezione, non la regola invocata sul momento e sulla base di allarmi, presunti o reali che siano. Non esistono solo sante e zoccole, mariti devoti e orchi malvagi. Una politica del rispetto dovrebbe partire dal riconoscimento della magnifica, vantaggiosa, perfetta diversità di genere e dalla distruzione – a partire dal linguaggio, fondamento della cultura – lenta e sistematica degli stereotipi di cui i media in prima persona sono stati e sono tuttora responsabili.
Un obiettivo difficile ma non utopico, sicuramente impossibile da perseguire con la strategia dell’ ‘A lupo, a lupo’: la vera bestia da addomesticare è la Storia. Scriverne un nuovo capitolo senza i toni apocalittici delle sacre scritture, ma interpretando le mutazioni della società e dell’animo umano potrebbe essere un buon inizio.
Salviamo Eva e rivalutiamo Adamo.
(da Quaderni Radicali 109)
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