L’Iran ha messo Rohani, il sorridente, al posto di Amadinejad, l’ingrintato, mentre Israele, Arabia Saudita, emirati del golfo Persico sono in allarme perché un accordo con gli ayatollah in sede di Nazioni Unite rimetterebbe in gioco Teheran, lo stato più grande della zona, ricco di petrolio e che potrebbe assumere il ruolo della potenza regionale preminente, con estensione anche della sua influenza sulla Siria, della quale tra l’altro (chissà perché) ormai nessuno parla più (dimenticate le stragi, le armi chimiche, i diritti umani).
E meno male che un nuovo Saddam Hussein non è più nemmeno in vista. Unico vero competitor dell’Iran la Turchia, il cui ruolo viene peraltro contestato dai russi e che l’Europa tiene in bilico su una corda tesa da almeno cinquant’anni.
Già, i russi che hanno giocato proprio in questi mesi un ruolo apparentemente in sostegno alla Siria (e quindi indirettamente di Teheran), ma che in realtà stanno cercando di attuare nella regione una politica propria, che trova il suo fondamento nella sempre più dominante questione energetica, fondamentale per i paesi del Medio Oriente e fondamentale per noi poveri europei, che non siamo neanche in grado di cavare petrolio dai sassi, come stanno cercando di fare gli americani.
La politica energetica del Cremlino (con la “modernizzazione” in atto, sostenuta palesemente dalla Germania) sta ampliando il proprio raggio di azione: una politica di potenza che ormai non si limita più a rincarare il prezzo del gas esportato con i clienti cattivi dell’ex impero sovietico, ma pone i paesi europei di fronte a scelte di fondo: vogliamo dipendere dagli ayatollah o vogliamo aggregarci al carro del nuovo zar moscovita?
Quello zar modernizzante che ha già costruito e continua a costruire imponenti tubazioni con l’Europa del nord e del sud, che ci assicura una stabilità certo piuttosto pelosa e incarcera i dissidenti, ma comunque senza terroristi e guerre di religione, e insieme offre i grandi vantaggi della continuità territoriale e di un paio di millenni di storia comune, compresa la matrice cristiana della cultura di base.
Si sa: resta il problema del dover rosicchiare il corpaccio duro dello stato più esteso del mondo e forse potenzialmente più ricco del mondo e che ha sempre avuto in mente di essere, o voler essere, una grande potenza. Ma non si può avere tutto.
E poi dove sta scritto che l’Europa debba finire per forza soggiogata? Non sta scritto da nessuna parte, siamo cinquecento milioni di persone che vivono in stati quasi tutti ricchi o per lo meno benestanti, sia in senso assoluto e non parliamo poi in senso relativo: se preferiamo la strada del cupio dissolvi per correre dietro ai fantasmi del passato, non cerchiamo poi di dare la colpa agli altri.
Buon tema per le elezioni europee, non è vero? Stiamo giocando la carta del nostro futuro. Gerhard Schröder, ancien président socialdemocratico a Berlino, ha già capito che valeva la pena di piazzarsi ai vertici di Gazprom, il grimaldello della politica estera di Mosca…
Solo che il problema non è, e non può essere, di un uomo solo: è della Germania tutta, locomotiva economica del continente antico (anzi vecchio) del quale peraltro non ha il coraggio di assumersi la leadership, tuttora erosa dai fantasmi di un passato che dentro le coscienze e l’anima dei tedeschi non è ancora passato.
Certo, la Germania; ma noi poveri mediterranei scialacquatori, pieni di debiti, non abbiamo nulla da dire?
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