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16/11/24 ore

L'Euro libero della destra tecnocrate tedesca


  • Silvio Pergameno

Mancano ancora sette mesi alle elezioni europee che si terranno la prossima primavera, eppure di esse già si parla, e se ne parla con interesse. È sicuramente un fatto nuovo, come è un fatto nuovo che il discorso non verta sulle solite più o meno attendibili previsioni di esiti per i maggiori partiti, ma con riferimenti più ampi.

 

Ed è fenomeno spiegabile se si pensa che con la crisi economica, con le misure che sono state prese a livello delle istituzioni europee e con le conseguenze che esse hanno determinato nei paesi membri, i cittadini, i partiti e i movimenti politici, sindacati e associazioni padronali, stampa e media tutti hanno riscontrato effetti diretti sui loro interessi, economici e non, di quanto arriva da Bruxelles e da Strasburgo.

 

E c’è anche qualche cosa di più. Sia pure con poca enfasi e senza grandi approfondimenti, qualche spazio è stato anche già dedicato, per esempio, alle elezioni tedesche, con attenzione interessata alle posizioni dei vari partiti che si contendevano il Bundestag e alle possibili speranze, o timori, legati agli esiti della consultazione popolare: soprattutto non erano in pochi a sperare in un successo dei socialdemocratici, ritenuti più buoni al cospetto del rigorismo di Angela Merkel.

 

In particolare, poi, largo spazio è stato dato al nuovo partito in competizione, quell’AfD (Alternative für Deutschland) che, pur non avendo superato la soglia di sbarramento, con il 4,7% ottenuto ha sfiorato un risultato positivo. Oltre due milioni di tedeschi lo hanno votato e gliene bastavano circa centotrentamila (su quarantatre milioni di votanti) per farcela.

 

E’ un movimento politico calibrato sull’attualità e per la sua conformazione, le analisi dalle quali muove e le proposte che offre all’elettorato si presta a diverse considerazioni e gli dedichiamo perciò questa prima puntata di una serie che Agenzia Radicale intende dedicare alle elezioni europee e alle forze politiche dei vari stati dell’Unione. In primo luogo occorre premettere che si è scelto di iniziare con questo movimento politico di nuova formazione perché per la sua natura e le sue proposte politiche offre un’occasione per parlare della condizione politica della Germania.

 

AfD è una formazione politica che possiamo definire di destra tecnocratica e rappresenta una novità nel panorama politico tedesco, dove nel dopoguerra erano emersi quattro partiti che avevano radici profonde nella tradizione di questa nazione: il vecchio partito socialdemocratico, i liberalnazionali, e due partiti di ispirazione religiosa, l’Unione cristiano democratica e l’Unione cristiano sociale nel sud della nazione, quest’ultima di ispirazione sostanzialmente cattolica.

 

Oggi l’AfD, costituita da economisti, professori universitari, professionisti di alto livello, giornalisti, già presente in alcune diete regionali, ottiene un non trascurabile risultato a livello nazionale, nel momento in cui vengono meno i liberali. Il programma con il quale “Alternative” si è presentata alle elezioni tocca un po’ tutti i temi di attualità, ma è sostanzialmente incentrato sul problema della crisi finanziaria dell’Europa e dell’euro, del quale viene al limite auspicata la fine, non senza, ovviamente, un rafforzamento delle misure punitive verso gli spendaccioni mediterranei.

 

Secondo AfD, dall’euro i paesi debbono poter entrare e uscire liberamente (allora non è più moneta comune!), con diritto di formare anche altre coalizioni monetarie con monete proprie; niente salvataggi di paesi in difficoltà (clausola già presente nel trattato di Maastricht); limitazioni, ben si sa, agli interventi della Banca Centrale Europea. Ma l’Unione europea non viene disattesa e si lascia la possibilità di trasferimenti di sovranità al livello europeo, previ plebisciti popolari, ma intanto si auspica la restituzione agli stati di alcuni poteri attuali delle istituzioni europee.

 

Significativa poi la posizione del’AfD sull’immigrazione: vengano pure lavoratori stranieri, sempreché ben qualificati. Sono posizioni da destra ragionevole, consapevole anche se, forse, poco… pieghevole. Angela Merkel su di essa in campagna elettorale aveva preferito la tattica del silenzio, anche se alla fine, richiamata da vari livelli del suo stesso partito, si è buttata su un po’ di europeismo di circostanza…

 

Il carattere tecnocratico del movimento è di tutta evidenza, in piena consonanza con il presente trend di tutta la politica in Europa, appiattita sui soli problemi economico-finanziari e lontana da quel dibattito politico complessivo, considerato addirittura rischioso perché, spostando il discorso sul terreno delle utopie, finirebbe per inquinare la discussione sui “problemi veri”.

 

Proprio la posizione sull’euro ne rappresenta l’esempio più cospicuo: si ignora del tutto infatti che l’adozione della moneta unica ha rappresentato il punto di arrivo di mezzo secolo di evoluzione della politica in Europa dopo le due guerre mondiali, dal quale soprattutto la Germania era uscita con un carico mostruoso di perdite umane e di distruzioni di testimonianze del passato e di beni del presente.

 

Nelle clausole dei trattati europei l’uscita dall’euro non è regolata né contemplata, proprio perché l’euro è stato posto in essere come un passaggio indefettibile nella costruzione dell’Unione, come un ponte indispensabile e un avanzamento definitivo. Contestare questa finalità, che fa comodo definire mito e utopia, significa aprire un baratro nella presente storia europea.

 

Contestabile è se mai il presupposto che sta alla base del trattato della CEE del 1957, che cioè occorresse avviare la costruzione della federazione sul terreno economico, dal quale poi sarebbe “necessariamente” derivata l’unione politica (filosofia che forse affascinava anche Altiero Spinelli, di formazione comunista), mentre si trattava di un ripiegamento, visto che la via della diretta costruzione sovranazionale (senza un accanito scontro politico sul percorso dell’idea di nazione) era fallita con il fallimento Comunità Europea di Difesa.

 

Via dall’Euro per fare cosa? Naturalmente questo non significa negare l’esistenza delle contraddizioni e delle magagne concentrate sull’euro, né contestare la necessità dei conti in regola, ma anche delle misure e delle premesse economiche sostanziali perché i conti possano esser messi in regola: si tratta di problemi di gestione, dove ogni passo in avanti non è privo di controindicazioni…ma si tratta di un’altra dimensione.

 

Si evidenzia in tutto questo contesto un carattere di fondo della Kultur tedesca, la rigida tendenza a una dimensione assolutizzante, che sul terreno politico si traduce in un‘alternativa tra negazione dell’elemento della forza come componente della politica (si pensi alle fortune del neutralismo e del pacifismo in Germania) e subordinazione acquiescente al mito della potenza…dal complesso di inferiorità a quello di superiorità…

 

Occorre invece spostarsi su un altro terreno, quello storico-politico. Non si può dimenticare che le idee di una costruzione europea con caratteri di sovranazionalità sono sgorgate da un passato, nel quale invece l’Europa si è viceversa progressivamente ripiegata, come proprio le vicende attuali, purtroppo ampiamente, testimoniano: il clima rissoso sul quale tendono a configurarsi ne rappresentano la prova più amara.

 

La Germania poi non può dimenticare che proprio dopo il primo dopoguerra essa venne a trovarsi schiacciata in condizioni economiche assurde, determinate anche dall’ insostenibile peso delle riparazioni belliche che le furono imposte, benché non si potesse certo ritenere che le responsabilità per il clima di nazionalismo furioso nel quale il conflitto del 1914-18 aveva trovato la sua origine prima, stessero da una parte soltanto.

 

Ma, per venire al terreno sul quale oggi è forse più facile trovare ascolto, non è meno vero che la fine dell’euro creerebbe un caos nell’economia europea con conseguenze disastrose, come è stato osservato, ad esempio, da Philipp Rösler, leader liberale, oltre che da parte democristiana: il ritorno al marco provocherebbe conseguenze in particolare a carico dell’occupazione e proprio in Germania, il paese che ha ricavato benefici altissimi dall’euro.

 

Le lamentele tedesche, che nascono dal peso che la moneta unica pone a carico della Germania, sono spesso sostenute dalla convinzione che l’assenza di austerità e il pagamento di debiti di altri paesi toglie la spinta a mettere i conti in regola: se si insiste su questa tendenza, si argomenta, la Germania si troverà esposta a dover pagare per tutti e, oltretutto, a non essere in grado di farcela.

 

E’ il senso delle motivazioni, ad esempio, che oppongono la Bundesbank ad alcuni interventi della Banca Centrale Europea per sostenere l’acquisto di obbligazioni pubbliche di paesi in difficoltà. Discorsi molto contestati, anche in Germania.

 

Il prof. Hans Peter Grüner, economista dell’Università di Mannheim, per esempio, lascia invece capire che si tratta di discorsi generici, perchè il problema sta nel fatto che in questi anni è intervenuta una dislocazione nelle tendenze degli investitori: i tedeschi non vogliono investire fuori dalla Germania, dove poi arrivano i risparmi da altri paesi.

 

Senza gli interventi della BCE le fughe di capitali finirebbero con il portare all’impossibilità di soddisfare gli oneri del rimborso delle obbligazioni dei paesi del mediterraneo, con gravi danni anche in Germania, per la perdita di enormi capitali e di posti di lavoro…. Si avvicinano le elezioni europee del prossimo anno: 2014; già se ne parla, ma se ne sta parlando nella dimensione più mediocre possibile, in un contesto arido e privo di prospettive.

 

Le elezioni si terranno in primavera, ma un minimo di consapevolezza storica avrebbe voluto che la data della consultazione che coinvolgerà centinaia di milioni di elettori fosse fissata al 28 di questo mese: esattamente cento anni dopo che il colpo di pistola di un ventenne serbo-bosniaco scatenò il trentennio che vide i più terribile massacri della storia dell’umanità.

 

 


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