Si può comprendere tutto: una volta aggregato al carro debenedettiano di «Repubblica» è chiaro che Renzi non può dire più le cose che diceva al tempo delle primarie, perché altrimenti si porrebbe in contrasto con l’investitura pervenutagli dall’Ingegnere. Ma a questo punto diventa anche una pretesa pensare di poter ancora rappresentare un soggetto politico in grado di cambiare il verso all’Italia.
Il discorso pronunciato a Bari, come pure i successivi interventi televisivi del sindaco di Firenze, presentano un dato inquietante, in termini di coerenza e capacità di affrontare sul serio i problemi del Paese.
Considerare un errore l’amnistia non significa esprimere soltanto un giudizio, ma trascurare colpevolmente la questione gigantesca della violazione dei diritti umani che avviene nelle carceri italiane. Oggi l’amnistia è un punto di passaggio obbligato per ripristinare le condizioni minime di legalità dello Stato italiano, che è invece del tutto inadempiente e figura al fianco di nazioni prive dei connotati democratici essenziali.
Spiegare questa posizione come una semplice sottovalutazione del problema, sarebbe tuttavia da ingenui. Essa va inquadrata nell’ambito della reticenza di Renzi e i suoi a guardare in faccia la situazione disastrosa della giustizia italiana. Rifugiarsi dietro la priorità da dare alle cause civili o fingere che dietro i processi a Berlusconi non ci sia altro che una questione personale del leader del centrodestra, dimostra una incapacità di fondo a capire quanto importante sia la questione dei rapporti con l’ordine giudiziario e, soprattutto, quali danni comporti la prevalenza del suo potere in termini di tenuta delle istituzioni democratiche.
Se si vogliono vestire i panni del riformatore che guida un processo di rinnovamento è necessario ripartire proprio dalla soluzione dei problemi che riguardano la giustizia: per ridare dignità a uno Stato che viola diritti elementari, per rafforzare la credibilità del sistema giudiziario e per creare le condizioni di un nuovo sviluppo economico.
Già, perché le inchieste ideologizzate o le vessazioni burocratiche sono uno dei principali freni della nostra economia, scoraggiando fra l’altro gli investimenti. Non farlo per calcolo o per timore, di certo non incoraggia a dare fiducia. Tanto più se, al contrario di quanto accadeva solo pochi mesi fa, al posto di merito, responsabilità e coraggio, si preferiscono altre parole d’ordine, più consone ai gattopardi che vogliono cambiare tutto per lasciare in realtà tutto come prima.
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