La notizia, secondo la quale l’ex pm palermitano Ingroia è indagato per “violazione di segreto istruttorio”, a seguito di un esposto presentato dal difensore di Bernardo Provenzano, è di quelle che racchiudono in sé tutti i guasti e le storture cui è stata sottoposta negli ultimi decenni la giustizia in Italia.
A forza di continui sabotaggi e inquinamenti, contraddistinti da lotte intestine, tracimazioni di potere, supplenze e quant’altro ha minato lo stato di diritto in Italia, ci troviamo nella condizione di un impianto idraulico dove acque nere e potabili si mescolano irrimediabilmente, pregiudicando la funzionalità minima del sistema.
La procura di Caltanissetta, competente per i reati dei colleghi del capoluogo siciliano, apre un’indagine ma lo fa nei confronti del solo Ingroia, esonerando da ogni responsabilità, nell’eventuale fuga di notizie contestata, l’altro pm, Ignazio De Francisci, che presenziava all’interrogatorio di Provenzano divulgato sul «Fatto quotidiano». C’è da chiedersi come mai. A meno che ciò non possa spiegarsi con un’abitudine sin troppo frequente, quale quella di accanirsi su un bersaglio facile o, se vogliamo cambiar metafora, sulla selvaggina ferita.
A sua volta, l’ex magistrato Ingroia, nel replicare all’esposto, ricorda che di simili gli sono stati mossi anche da altri suoi imputati come Contrada, Dell’Utri e Berlusconi. E così realizza un accostamento maligno, ma privo di riscontri, fra Provenzano ed i funzionari e politici accusati dalla Procura di Palermo.
Insomma, l’episodio finisce per essere un concentrato dove, come in un grumo purulento, agiscono i microbi patogeni delle conseguenze di un modus operandi, che ha finito per demolire credibilità e fiducia nell’azione di chi amministra la giustizia.
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