Le interpretazioni della pesante condanna inflitta al leader del PdL dal Tribunale di Milano (siamo nell’ordine di tante che hanno colpito gli autori di reati apparentemente molto più gravi) deve indurre a riflettere sia sulle conseguenze che interessano il piano politico sia sugli aspetti che toccano quello giudiziario. E quelle che seguono sono soltanto prime riflessioni, perché la materia in discussione è di amplissima portata e dovrà interessare (o dovrebbe?) soprattutto i Saggi della Commissione da poco all’opera per redigere un piano di riforme.
Nella speranza che quest’ennesima commissione non faccia la fine delle precedenti: se non si vuol fare una riforma si nomina una commissione…. Per quanto concerne il primo campo non servono grandi elucubrazioni per rilevarne la massiccia portata, paragonabile soltanto a quella delle sentenze dei giudici di Mani pulite un ventennio fa, quando un’intera classe politica fu azzerata.
E fu un danno enorme, perché venne troncato un processo di evoluzione politica che doveva proseguire il suo corso, anche se occorre sgombrare il campo dal facile tentativo di scaricare la colpe politiche sui giudici. Dei giudici si deve criticare, sul piano giuridico, il contenuto delle sentenze, le motivazioni e i vari passaggi del processo, anche per elaborare un piano completo di riforme della giustizia, che deve muovere da una piena tutela dei diritti dell’imputato a cominciare dal rafforzamento del principio della tipicità dei reati e dell’onere della prova, di una nuova configurazione della figura del pubblico ministero, per la quale innovazioni di vasta portata sono possibili anche nell’ambito dell’attuale costituzione, dell’obbligatorietà dell’azione penale, di una nuova configurazione del Consiglio Superiore della Magistratura.
E in primo piano porre la necessità che i responsabili politici siano assistiti da specifica garanzia politica e quelli amministrativi da garanzia amministrativa…(gli eletti debbono rispondere agli elettori e i funzionari amministrativi a chi ha dato loro gli ordini e anche sull’esecuzione degli ordini deve esistere un vaglio dell’autorità politica) senza poi dimenticare esperienze passate: la legge 117 sulla responsabilità civile dei magistrati non ha scatenato quell’ondata di processi che ci si sarebbe potuto attendere…
Tutte riforme che gioverebbero proprio a una nuova configurazione del potere giudiziario, liberandolo da quell’abnorme ruolo di supplenza dal quale oggi è oberato. Volendo poi fermare lo sguardo sulle conseguenze immediate dei sette anni inflitti al Cavaliere, è bene in primo luogo tenere distinto il PdL dal PD, anche se alla fine si arriva alla conclusione che entrambi si rivelano… inconcludenti per colpe proprie.
Per il primo la perdita del leader sarebbe fonte di preoccupazioni assai gravi, anche se la prospettiva di un Berlusconi in pensione non è affatto da dare per scontata, stante la natura del condannato (in prime cure…) e la destra non può ignorare di aver avuto a disposizione intere legislature nelle quali non si è fatto nulla per la riforma della giustizia.
E anche nel PD occorrerà stare a vedere cosa succede, perché se prevarrà la tesi che i sette anni sono una vittoria del partito da cui trarre profitto è un conto, se invece ci sarà la consapevolezza dei rischi che la democrazia italiana oggi sta correndo allora il discorso è del tutto diverso e si rivelerà indispensabile fare i conti con il solito discorso dell’avere o non avere nemici a sinistra.
La classe politica italiana dovrà infine avvalersi del sostegno che alle riforme in materia giudiziaria le può venire dalla Corte di giustizia europea e riflettere sul fatto che siamo il paese dell’Unione che riceve il maggior numero di condanne. Non sarà certo perchè ce l’hanno con noi…
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