Una modifica della nostra costituzione in senso semipresidenziale è un problema che deve essere esaminato con un occhio attento alle vicende attraverso le quali l’Italia è precipitata nell’attuale crisi politica, intanto perché il problema è politico, poi per capire quale semipresidenzialismo porre in essere e soprattutto, proprio come premessa di tutto il discorso, per capire quale costituzione si vuole modificare.
Come sarebbe a dire “quale costituzione”? Non ne abbiamo mica due! E invece è proprio così. L’Italia ha due costituzioni: quella votata il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio dell’anno successivo, un testo scritto, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, quello che tutti conosciamo o dovremmo conoscere.
Ma poi ce n’è un'altra: quella concretamente operante, lentamente venuta in essere di fatto nello scontro e nell’ incontro tra le forze in campo, consolidando prassi e interpretazioni di fatto. La nostra è una costituzione rigida, per cambiare qualche cosa occorre un procedimento che in concreto dura anni, mentre intanto magari la situazione è cambiata…
E' una costituzione superata soprattutto perché, nata subito dopo il fascismo, è stata concepita da forze politiche che non potevano ignorare, come non potevano ammettere, il fatto che la dittatura era arrivata per colpa loro, per la loro immaturità politica, per la loro incapacità di governare, per la tendenza a privatizzare i pubblici poteri, le pubbliche funzioni, i pubblici fondi erariali.
La nostra costituzione è piena di grandi e bellissimi principi, ma intanto ha rispecchiato le paure degli anni venti e poi è stata elaborata sulla base di compromessi tra forze politiche molto lontane. Si è avuto così un testo dai contorni giuridici incerti, che poi nella prassi politica è stato stravolto, ignorando le norme scomode, interpretandone e applicandone altre in modo tendenziale e così il sistema parlamentare delineato nel testo scritto della Carta si è trasformato in un regime assembleare di deputati e senatori legati, da vincoli di fedele obbedienza ai partiti.
Quante volte abbiamo letto di parlamentari che, non sentendosela proprio di votare provvedimenti legislativi secondo gli ordini di partito, chiedevano rispettosamente il permesso… Il fascismo fu accettato dagli italiani per tre lustri o poco più, perché assicurò una governabilità all’Italia, poi fu il disastro.
E nel 1945 il problema era allora quello di riparare all’errore di fondo che ci aveva regalato il ventennio: cioè di porre in essere un vero governo nell’ambito di un vero sistema di divisione dei poteri. Ma non è andata così: le paure hanno prodotto un non governo incerto nell’assenza di una vera divisione dei poteri, con forze politiche che non la apprezzavano in alcun modo e in una cornice istituzionale incerta, che ha consentito che di fatto tutti i poteri uscissero dai perimetri giuridici e risultassero a disposizione di chi riusciva ad afferrarli: i partiti politici, certo, la cui prima conquista è stata quella del parlamento, delle elezioni e della finanza pubblica.
E poi dove arrivavano le associazioni di categoria e i gruppi di potere e le loro affiliazioni, in un fitto gioco di compromessi, di ricatti, di triangolazioni; un meccanismo poi che si è esteso alle pubbliche amministrazioni e in un tempo in cui lo stato sociale allargava a dismisura i campi di intervento, cioè le occasioni…
In questa condizione la riforma semipresidenzialista non può certo limitarsi a una nuova legge elettorale e comporta invece una attenta revisione della costituzione, con la ridefinizione dei poteri del semipresidente e di tutti gli altri poteri, governo, parlamento, magistratura e alle regole dei loro rapporti. Né possono essere ignorati i partiti.
Ma indispensabile sarà una riflessione o meglio una battaglia politica in profondità nel Paese, per realizzare convergenze convinte e diffuse nella classe politica, nella cultura, nell’opinione pubblica: altrimenti riprenderebbe l’opera di erosione e di elusione del tessuto giuridico-istituzionale da parte dei detentori reali del potere.
La Francia è uscita quarant’anni fa da una stretta democrazia parlamentare con De Gaulle e dopo le tragedie dei crolli dell’Indocina e dell’Algeria, che hanno prodotto una dislocazione nel modo di essere del paese. Per uscire dalla condizione di disorientamento in cui è sprofondata, l’Italia di oggi ha bisogno soprattutto della volontà di venirne in capo.
Ma le recenti vicende non consentono troppi ottimismi, anche se le divisioni sul tema del semipresidenzialismo all’interno del PD testimoniano il fatto che qualcosa sta cambiando.
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