Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

24/12/24 ore

La scomparsa di Giulio Andreotti e le scomposte reazioni estreme


  • Silvio Pergameno

Ha profondamente colpito in questi giorni l’avvilente deriva di astio, di gratuite cattiverie, di veleno sparso a profusione, immediatamente esplosa in occasione dalla morte di Giulio Andreotti. “Agenzia Radicale” ha invece voluto ricordare la figura di uno dei personaggi più rilevanti della storia italiana degli ultimi decenni ripubblicando il testo di un’intervista resa dal Senatore a Quaderni Radicali nel primi mesi  del 2005, poco dopo l’assoluzione definitiva nel  processo per le  imputazioni di collusioni con la mafia (l’altra vicenda giudiziaria che lo aveva coinvolto – quella quale presunto mandante del’omicidio Pecorelli - si era già conclusa precedentemente con esito identico).

 

Andreotti, tra i principali esponenti della DC, in particolare nei ruoli istituzionali, è stato sempre - e ovviamente - un avversario delle iniziative radicali e del pensiero radicale, che, soprattutto negli anni settanta del secolo scorso rivestirono un ruolo politico di fondo, perché inflissero il primo scossone all’assetto del nostro paese quale si era in concreto venuto costruendo a partire dal 1945, tutto imperniato - quali che fossero i plateali scontri quotidiani, elettorali, parlamentari - su un sottofondo consociativo comunque inteso a bloccare ogni possibile evoluzione in direzione liberaldemocratica della vita politica e sociale nazionale.

 

Scontri non privi di conseguenze sul clima politico, che per l’appunto si è andato progressivamente deteriorando, anche perché la ben nascosta ambiguità del sottofondo nascondeva la possibilità di fare chiarezza nei termini delle vicende politiche, fondamento primo di un dibattito approfondito, razionale e costruttivo di ogni fattivo progresso politico e, di conseguenza, alimento alla velenosità, tanto inconcludente quanto rischiosa.    

 

L’intervista oggi ripubblicata, che, data l’occasione, verte quasi per intero sulle vicende giudiziarie del politico democristiano, è invece un esempio significativo di un percorso di confronto che tende a costruire chiarezza e a costringere l’avversario ad ammissioni assai rilevanti: Andreotti, molto civilmente ma altrettanto puntualmente sollecitato, alla fine ammette che “l’insieme degli accadimenti [giudiziari] che mi hanno riguardato non si spiega se non con un disegno che ben poco ha a che fare con l’esercizio dell’azione penale”.

 

È il tema della giustizia che viene in primo piano, così rilevante ancora oggi, a distanza di tanti anni dagli avvenimenti sui quali si fondavano i processi ad Andreotti e sempre sui problemi e le gravi disfunzioni che affliggono la gestione del terzo potere, proprio perché diventato supplente degli altri due, in spregio ai principi dello stato liberale, che da Cavour a Zanardelli avevamo cercato di impiantare in Italia   

 

Problemi e disfunzioni che creano disagi senza fine al viver civile, all’assetto istituzionale, al funzionamento dell’economia, ma ai quali non corrispondono vere analisi politiche e prospettive di soluzioni nelle leggi e nei comportamenti delle autorità e quindi trovano sfogo estremistico, inconcludente e irto di pericoli nella verbosità scostumata e nel risentimento livoroso.

 

 


Aggiungi commento