Venerdì scorso Stefano Menichini sul quotidiano da lui diretto, Europa, notava che non è strana l’esistenza di un’area, da lui definita “necrofila”, quale quella rappresentata da Travaglio, Padellaro, Flores d’Arcais ecc. Grave e per molti versi inquietante sarebbero il peso che essa ha nel dibattito pubblico e il sostegno di porzioni non marginali del “popolo di centrosinistra” di cui sembra godere. Concordiamo.
In effetti a tratti pare che le maggiori responsabilità della condizione di estremo disagio nella quale versa il Pd siano da attribuire al suo gruppo dirigente: all’offerta politica, per così dire. Altre volte, tuttavia, si ha l’impressione che siano gli umori, le pulsioni, il ventre, i tic della base a condizionare e orientare prepotentemente scelte e comportamenti. Insomma: il problema sembra spostarsi sul lato della “domanda”.
Perché tale discrepanza? Forse qui un pochino ci aiuta a cogliere certe dinamiche il vecchio Lenin, per il quale la vita del partito (bolscevico) è legata a un movimento che procede dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. Del resto, ragioniamo un istante su altri fenomeni politici di soggetti diversamente articolati.
Il clientelismo, di cui la Dc fu maestra, specie al Sud, dipendeva/dipende da spinte della “periferia” oppure era/è alimentato dal “centro”? Arduo rispondere, difficile discernere, come in un ginepraio. Interessi e abitudini sono così intrecciati fra loro e consolidati da apparire “naturali”. La forza della consuetudine, si direbbe. Una sorta di pilota automatico che condiziona pesantemente la vita nazionale: il vero “governo ombra”.
Tornando per un istante all’editoriale di Menichini e al campo del centrosinistra, aggiungerei che a sconcertare di più è un altro fenomeno: anche politici e intellettuali con una formazione e una sensibilità dissimili da quelle dei “necrofili”, quando “utile” e “opportuno”, non disdegnano di far leva su quelle pulsioni distruttive.
Finendo in tal modo per alimentarle e dar loro forza. Si pensi solo all’atteggiamento di alcuni anni or sono di un leader sindacale riformista come Sergio Cofferati, il quale, pur di contrastare Massimo D’Alema e certe istanze liberal, cavalcò i “girotondi” e roba del genere.
In tale saldatura di interessi e di obiettivi è forse uno dei principali limiti del nostro Paese.
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