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16/11/24 ore

Ratzinger, la scelta di un uomo solo


  • Silvio Pergameno

Le dimissioni del pontefice regnante rappresentano senza dubbio un fatto di grande rilievo nella storia della Chiesa, anche se il diritto canonico prevede la possibilità che il Papa lasci il trono, mentre l'esistenza di veri precedenti è almeno assai dubbia (si sono volutamente usati dei termini - dimissioni, pontefice regnante, trono - che danno subito la sensazione di una stonatura rispetto ai Papi di oggi: Ratzinger, per esempio, come Wojtyla e Montini, non porta il triregno, ma una mitria vescovile, da vescovo di Roma).

 

Non si può dire infatti con certezza se ci siano stati pontefici che hanno lasciato la carica di loro spontanea volontà, perché i casi che si citano in proposito si riferiscono o ai primissimi tempi della Chiesa, cioè in un contesto assai diverso da quello successivo perché l’affermazione del vescovo di Roma come capo della Chiesa universale è stato l’esito di una vicenda storica svoltasi nel tempo, oppure a tempi di grande confusione nella storia del Pontificato romano, come nel secolo XI in momenti di lotte tra i potenti del tempo nella città di Roma o agli inizi del secolo XV, quando si agitava veemente la spinta conciliare per il governo della Chiesa: periodi entrambi di elezioni e deposizioni di papi e antipapi.

 

Comunque sia, sta di fatto che sono sei secoli che tutti i papi sono cessati dall’altissima dignità solo alla fine della loro vita. L’avvenimento ha quindi senza dubbio una sua portata. E la si coglie quando si legge che mons. Dziwisz, cardinale di Cracovia e già segretario di papa Wojtyla, commenta la rinuncia di Benedetto XVI con un amaro e provocatorio “Dalla croce non si scende”.

 

E Ratzinger invece lo ha fatto, imponendo un’impronta di secolarizzazione alla Chiesa e alla sua autorità più alta e simbolica: è la sacralità della carica e delle funzioni che viene intaccata, o disconosciuta, da un uomo che pensa di poter decidere da solo su un potere che in fondo non è suo. Ratzinger del resto ancora prima di diventare Papa aveva definito il pontificato un “servizio testimoniale”.

 

Bisogna scavare un poco nel commento di Dziwisz: un soggetto può rinunciare alla carica di cui è investito se essa è stata da lui acquisita con il concorso della sua volontà, ma non se la sua autorità proviene da Dio…Wojtyla, il papa innovatore, la croce l'ha portata fino alla fine, al costo di grandi sofferenze.

 

E forse il cardinale di Cracovia ha voluto anche sottolineare la coerenza con la dottrina testimoniata dal ”suo” Papa, del cui pontificato, peraltro, cosa che non sempre si ricorda, Ratzinger è stato una colonna portante quale Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (ex Sant’Uffizio), fornendo copertura teologica alle innovazioni folgoranti del papa polacco.

 

Papa polacco che poi, in fatto di tradizionalismo, era attaccatissimo al culto mariano e non meno “retrogrado” di Ratzinger nel rifiuto delle derive postconciliari del terzomondismo e della teologia della liberazione e nell’adozione di interventi pratici, disciplinari nei confronti di preti e vescovi troppo impegnati nella collaborazione con il comunismo sudamericano, lui, Wojtyla, che il comunismo lo ha preso a martellate nel suo paese ma forte della veste che indossava, ampiamente contribuendo alla liberazione della Polonia dal giogo sotto l’URSS e all’approfondimento della crisi del comunismo.

 

Senza poi dimenticare che anche Carlo Maria Martini – ottimo papabile ben piazzato - nel 2005 volle Ratzinger sul soglio di Pietro.

 

Ratzinger non può essere giudicato un Papa reazionario perché la sua Chiesa ha particolarmente insistito sui valori non negoziabili, dietro la quale stanno, ovviamente, tutta la polemica non soltanto sui diritti civili, ma forse anche su aspetti della struttura della Chiesa, ma un giudizio sul suo pontificato deve essere commisurato proprio alla necessità di muovere da ripensamenti o da gesti significativi che impingono sulla struttura verticistica dell’organizzazione, senza trascurarne la connessione con il pensiero aristotelico.

 

Vale piuttosto la pena di soffermarsi sul travaglio interiore che le motivazioni della rinuncia suggeriscono ed esprimono nella nudità lapidaria del latino delle parole (e che forse solo il latino può rendere) e la solitudine struggente che testimoniano nel papa della Chiesa universale che alla fine si è ritrovato solo ad affrontare i grandi problemi che conosciamo, primo fra tutti forse (perché condiziona tutto il resto) quello delle lotte di potere che devastano il tessuto ecclesiale, e che non arretrano nemmeno di fronte a meschinità come la sottrazione di documenti e carte private.

 

Ratzinger si dimette perché si è reso conto che può contare soltanto sulle scarse forze di un uomo in età molto avanzata. Il potere temporale non è finito con lo stato della Chiesa, questa è ormai constatazione ampiamente diffusa e percepita, ma una connessione della religione con la politica è ovviamente ineliminabile; il problema, ovviamente, sono limiti e modi…il riconoscimento della libertà religiosa è relativismo, per esempio?


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