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17/11/24 ore

L'Italia a un bivio


  • Silvio Pergameno

La confusione nella quale gli schieramenti politici affrontano la consultazione del prossimo 24 febbraio è tale da non consentire previsioni, anche perché esiste una notevole condizione di movimento nell’opinione pubblica; l’unica considerazione che, ad avviso di chi scrive, appare sensata è il fatto che nelle prossime elezioni si gioca una partita di grande rilievo; e proprio a partire dal livello istituzionale. 

 

Si tratta di una questione della massima rilevanza perché il ritorno alla legittimità costituzionale, ampiamente violata sin dal giorno dopo l’entrata in vigore della nuova carta fondamentale della Repubblica, riveste un ruolo determinante ai fini dell’adozione delle misure necessarie per affrontare la stessa crisi economica che ha investito il paese.

 

E questo senza ignorare che, se le riforme istituzionali continuano a latitare, nel frattempo alcune cose sono successe: tentativi per venirne in capo non sono mancati, ma sono tutti falliti. Il tema trovò un’iniziale considerazione nel 1983 con la nomina da parte della Camera e del Senato della c.d. Commissione Bozzi (dal nome del deputato liberale Aldo Bozzi, che la presiedette), la quale formulò un’ampia proposta di riforme costituzionali, che toccavano 44 articoli della costituzione.

 

Ma non se ne fece nulla. La riforma costituzionale per la governabilità era nelle proposte del governo Craxi, rimaste esse pure senza esito, mentre il leader socialista pagava con l’esilio la sua volontà riformatrice, sconfitta dalla scarsa consistenza del suo partito, ma soprattutto dal muro della conservazione corporativa e consociativa, non senza però aver riportato alcuni successi, come la rottura del monopolio televisivo RAI e la vittoria del “NO” nel referendum sul’abolizione di punti della scala mobile promosso dal Partito Comunista.

 

Due passaggi molto significativi: la conquista di un fondamentale strumento di libertà contro l’oscurantismo degli oscuratori e una prima indicazione in tema di riforma dello stato sociale. Poi è stata la volta di Berlusconi, il quale ha saputo suscitare una speranza dura a morire, nonostante la sua capacità riformatrice abbia dimostrato tutta la sua debolezza sin dagli esordi, con la vicenda del decreto Biondi, che limitava la carcerazione preventiva ai reati di omicidio e ai reati associativi, decreto micidiale che ebbe subito l’effetto di provocare 2764 scarcerazioni di detenuti senza processo, ma che non fu convertito in legge per le proteste di Alleanza nazionale e della Lega Nord, mentre si scatenavano nelle piazze manifestazioni di ispirazione giustizialista.

 

Adesso è la volta di Monti, il quale si trova di fronte alle stesse difficoltà di sempre, mentre nell’emergenza grave, tamponata in qualche modo ma non superata, in cui il paese si è trovato nell’estate/autunno del 2011, la classe politica tradizionale si presenta alle elezioni come se nulla fosse successo, senza accorgersi che siamo di nuovo nel 1943, quando Rascel cantava “è finito il carnevale, è arrivata la bufera …”.

 

La difficoltà maggiore che incontra Monti è che Napolitano gli ha affidato il governo nel novembre 2011 con un mandato che lo costringe a scontrarsi proprio con tutto il mondo politico nazionale, ad affrontare problemi di fondo, a dover chiedere il voto a un elettorato che è stato colpito, necessariamente ma di certo duramente, proprio al livello degli ultimi e, se si vuole, dei penultimi.

 

Le nostre attuali pesanti difficoltà sono il frutto di incrostazioni stratificatesi nei sessantacinque anni che ci dividono dall’entrata in vigore della nostra costituzione e che hanno creato un meccanismo coeso che lascia lo spazio minimo alla discussione, al dibattito, al conflitto, senza reale alternanza, e salvaguarda solo la struttura di fondo che si esprime nella concertazione, espressione concreta del principio delle convergenze parallele.

 

Berlusconi è stato combattuto giorno per giorno, con maggiori o minori asprezze a seconda dei momenti e delle varie categorie di avversari, ma quando uno sconsiderato ha tentato di spaccargli la testa con un corpo contundente, la disapprovazione è stata unanime, perché veniva oltrepassato il limite della tollerabilità della contestazione, al di là del quale si toccavano i principi di fondo.

 

Non soltanto, ma le vere obiezioni che avrebbero dovuto essergli mosse sono rimaste ben chiuse nei cassetti o al massimo appena accennate; se cose buone ne ha fatte gli sono state contestate e l’opposizione che gli è stata fatta non si è certo fondata sulla prospettiva di costringerlo a rispettare le promesse non mantenute: si è detto che aveva deluso e continuava a deludere i suoi elettori, ma nulla si è fatto per cercare di ricondurlo a una politica che quegli elettori potesse soddisfare.

 

E così oggi Berlusconi dice che se si pensa di votare Monti, meglio votare Bersani e il Corriere della Sera sostituisce Monti a Berlusconi nella vignetta quotidiana di prima pagina e la Confindustria (e non appaia strano!) gli preferisce la Camusso (che almeno dal suo punto di vista è coerente) e Scalfari, sino a pochi giorni fa montiano determinato, domenica scorsa all’improvviso si schiera sulla sponda opposta …perché ben sa che il problema di fondo è quello della governabilità, oggi chiamata stabilità, e allora cerca di dimostrare che Monti sarebbe portatore proprio di ingovernabilità, e che quindi meglio votare Bersani il cui programma è uguale o quanto meno analogo nei punti essenziali a quello del premier uscente …

 

Sarà, ma le primarie del PD hanno designato un ampio schieramento nettamente e decisamente antimontiano, mentre Pietro Ichino, magna pars nella stesura dell’Agenda Monti, lascia il partito e, viceversa, Renzi ne accetta la tradizionale disciplina.

 

Lo schieramento “di regime” è tornato al gran completo, ha riassorbito i contestatori degli ultimi tempi, ha consolidato il Porcellum che fa comodo a tutti…e si prepara a nuove gesta, senza voler fare i conti con l’oste, quei conti che, per esempio, la Germania, pur con le sue colpe e i suoi errori, ha fatto, iniziando proprio con il leader socialdemocratico Gerhard Schroeder, il quale ancora nella prima metà del decennio scorso avviò le necessarie riforme dello stato sociale che hanno consentito al suo paese di poter affrontare la crisi poi sopraggiunta in condizioni assai migliori di altri.


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