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16/11/24 ore

Tutte le contraddizioni e i timori del Pd nelle parole di D'Alema


  • Luigi O. Rintallo

L’intervista a Massimo D’Alema sul «Corriere della Sera» del 14 dicembre è stata interpretata dai commentatori politici come un altolà a Mario Monti. Qualora il presidente del Consiglio dimissionario si presentasse come candidato premier alle prossime elezioni, contrasterebbe necessariamente con gli altri aspiranti alla carica, a cominciare dal leader del PD investito a quel ruolo con le primarie del centrosinistra.

 

L’ipotesi di un confronto diretto Monti-Bersani va dunque scongiurata e per questo D’Alema è intervenuto in modo così pesante, tanto che la sua intervista è stata definita sul «Foglio» addirittura “vagamente minatoria” da Salvatore Merlo.

 

A leggerla, emergono non solo le contraddizioni irrisolte del Partito Democratico ma anche i segnali di timori, fino a questo momento assenti in uno schieramento che – stando ai sondaggi – avrebbe la vittoria in tasca.

 

La principale contraddizione sta nell’alleanza elettorale sottoscritta con la sinistra vendoliana, che contrasta decisamente l’operato del governo tecnico di cui il PD si proclama primo sostenitore. Su questo punto l’intervistatore ha vanamente provocato D’Alema, che ha liquidato il problema rilevando il ridotto peso di SEL e la capacità di trovare certamente una sintesi costruttiva sui futuri provvedimenti.

 

Di tutta l’intervista, quello che colpisce è – more solito l’assoluta indifferenza per la sovranità popolare, cui si sostituisce come cardine della dialettica politica l’abilità manovriera. Si chiede il consenso per una compagine politica con la sinistra radicale, ma si è pronti a un governo con i moderati; ci si presenta come fautori di un programma alternativo, ma già da ora ci si dichiara pronti a farsi dettare i provvedimenti dallo stesso Monti, purché questi si tenga fuori dalla competizione elettorale.

 

Se non vogliamo parlare di atteggiamenti contraddittori, si denota tuttavia un certo nervosismo. Anche perché il cammino previsto vede profilarsi sempre nuovi ostacoli e deviazioni. La stessa rivendicazione, espressa nell’intervista, di essere stata “la principale forza politica” che ha voluto il governo Monti e sostenuto la sua opera di risanamento, offre il fianco a un doppio attacco. Da un lato quello più ovvio rappresentato da tutti i critici del “governo dei professori” (di destra come di sinistra) e, dall’altro, può favorire il centrodestra quando esso giustifica il ritiro dell’appoggio al governo con la tesi di essersi fatto troppo condizionare dalle forze di sinistra, avverse a ogni riforma radicale nel campo del lavoro e della riduzione della spesa pubblica.

 

I nodi da sciogliere non mancano e a poco serve proclamare di voler puntare “su giustizia sociale e crescita”: espressioni così scontate da non comunicare più nulla oggi. Specie se poi i cittadini, così poco considerati, sanno bene che anziché i grandi valori preoccupano più i buchi nel bilancio di banche come il Monte dei Paschi.


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