Come in tempo di guerra, ma senza la guerra. Questa la situazione dei Paesi ricchi, in riferimento al livello del debito pubblico accumulato in rapporto al Pil (110%), secondo quanto emerge dalle parole del direttore esecutivo dell'Fmi Christine Lagarde, pronunciate nel corso dell'assemblea plenaria del Fondo.
Lagarde avverte che il debito rappresenta “il più grande ostacolo” per la ripresa economica, sottolineando il fatto che affrontare la riduzione del debito in una fase di crescita lenta sarà «estremamente difficile» e servirà «trovare un buon ritmo di riduzione del deficit”. Per i Fmi si tratta di un “sentiero stretto, probabilmente un lungo cammino e per i quali non ci sono scorciatoie”.
Detta in soldoni, non resterebbe che proseguire con l’austerità e con quelle che Nichi Vendola liquiderebbe un po’ all’ingrosso come politiche liberiste. A meno che non si pensi a soluzioni estreme e una tantum: a scorciatoie, appunto, come quella di cancellare il debito dei paesi europei in difficoltà.
La cosa riporta alla memoria la campagna mondiale, molto in voga solo pochi anni fa, di cancellazione del debito dei paesi sottosviluppati, allora affamati, secondo le retorica terzomondista e no-gobal, dal neoliberismo degli organismi internazionali Wto, Fmi e Banca mondiale, sponsor ufficiali della Globalizzazione.
Oggi, ironia della sorte, quegli stessi Paesi che si sarebbero macchiati del misfatto Global e che con magnanimità e buona dose di demagogia abbuonavano qualche credito nei confronti di paesi perlopiù africani, si trovano a fare i conti con problemi e scenari simili. Ovviamente, anche in questo caso, a sentire la suddetta vulgata, la colpa è del sedicente liberismo e della conseguente Globalizzazione.
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