Secondo un recente studio internazionale l'evasione fiscale in Italia ammonta a circa 190 miliardi di euro l'anno. I calcoli del Mef sono invece meno catastrofici e riportano una cifra intorno ai 100 miliardi, comunque enorme, dalla quale attingere per raddrizzare la baracca.
I governi che si susseguono prometteno in tal senso sempre fuoco e fiamme, “salvo condoni”, poi nulla si fa se non in peggio. In queste ore c'è chi agita i polsi – possibilmente incrociati – come soluzione al problema atavico. Sostanzialmente pene più severe e carcere per chi fa parte della ristretta cerchia dei “grandi evasori”, perché, dice Luigi Di Maio dall'America, “in Italia bisogna combattere contro la grande evasione, non contro il commerciante...”.
Ora, ammesso pure per ipotesi che la linea manettara possa dare i suoi frutti, ma ne dubitiamo, va precisato che la cosiddetta “grande evasione” rappresenta una minima parte, qualche miliardo, rispetto alla montagna di denari che manca all'appello, alla cui crescita esponenziale contribuiscono principalmente i tanti evasori piccoli e medi che non si vorrebbe criminalizzati, ma che non vanno santificati.
Bisogna pur dire che la questione è anche culturale. Qualche anno fa l'ex ministro Padoa Schioppa fu “crocefisso” per aver detto con un'iperbole che “pagare le tasse è bellissimo”: una bestemmia in un Paese sempre vissuto di debito pubblico e non abituato a chiedersi “chi paga”, come se tutto sia dovuto. Se poi consideriamo i danni di una martellante retorica anti-casta, per cui si fa bene a non pagare le tasse perché i politici sono ladri, non deve meravigliare se alcune civili pratiche non vadano tanto di moda, a prescindere dalla vessatoria pressione fiscale.
In tal senso, tanto per fare alcuni esempi, suscita tenerezza lo “zuccherino” delle lotteria degli scontrini, così come appare velleitario affidarsi al tetto sull'uso dei contanti contro il sommerso, mentre ci vorrebbe benaltro, per dirla con i "benaltristi".
A parlarne si rischia di essere banali per quanto è ovvia e storicamente impopolare la ricetta. L'evasione fiscale è un male fisiologico fino a una misura ragionevole, in alcuni casi diventa forse necessario, che va al più attenuato riducendone innanzitutto l'impatto negativo, prima di aggredirne l'aspetto patologico.
In sostanza, per come siamo messi, bisognerebbe imboccare la strada in teoria obbligata ma mai praticata del taglio reale della spesa, da cui ricavere i margini di manovra per rilanciare in diverso modo l'economia stagnante. E invece si preferisce battere - “salvo intese” - i sentieri collaudati e fallimentari del tassa (ancora) e spendi (male). Complimenti!
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