Si è sempre “terroni” di qualcuno. Lo sanno anche gli abitanti del profondo Nord d’Italia al confine con la Svizzera. Lo sanno perché da sempre, quotidianamente, sono costretti a sopportare la malcelata spocchia dei ticinesi (a loro volta terroni dei cantoni svizzeri franco-tedeschi); lo sanno, a maggior ragione, dopo l’esito del referendum col quale si è chiesto di dare una frenata alla spola transfrontaliera dei circa 60mila lavoratori italiani.
“Prima i nostri”, recita lo slogan elettorale degli omologhi di Salvini e compagnia bella oltre il confine, per abbassare la disoccupazione dei cittadini svizzeri, che nel Ticino è più alta che nel resto della Confederazione elvetica, e contrastare il cosiddetto damping salariale provocato dalla concorrenza di lavoratori italiani disposti a prestare l’opera a prezzi più bassi.
Ironia della sorte, a difendere le ragioni italiane si trova oggi un Governatore leghista, che di campagne contro lo straniero se ne intende. Tuttavia, Roberto Maroni ha voluto precisare che i nostri sono lavoratori in regola e non immigrati clandestini, giusto per marcare una presunta differenza che il capo del suo partito non pare invece intenzionato a sottolineare. "Non mi stupisco – ha detto infatti Matteo Salvini - che in un momento di crisi come questo, gli svizzeri dicano prima gli svizzeri, così come gli austriaci dicano prima gli austriaci. Mi stupisce, invece, che in Italia abbiamo governi che non fanno gli interessi degli italiani”.
A tal proposito, proprio il governatore della Lombardia ha provato già a batter cassa, chiedendo a Renzi di intervenire per realizzare, con agevolazioni fiscali, una Zona a economia speciale (Zes) entro 20 chilometri dal confine svizzero.
Insomma, alla fine, pagherebbe Pantalone, o Roma ladrona come dir si voglia.
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