Proprio mentre il tema dell’aborto si trova al centro di un acceso dibattito in Polonia, arriva la condanna della Corte di Strasburgo per lo stato in questione per aver negato a una teenager polacca, rimasta incinta in seguito a uno stupro, la libertà di abortire.
Secondo la sentenza, sarebbero stati violati agli articoli 8, 5 e 3 della Convenzione sui diritti umani che sanciscono rispettivamente il diritto al rispetto della vita privata e della famiglia, il diritto alla libertà e alla sicurezza e il divieto di subire pene e trattamenti inumani e degradanti. In aggiunta, infatti, alla violazione del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza che le spettava per legge, si c'è anche la detenzione arbitraria della ragazza che sarebbe stata separata dalla madre e la diffusione dei dati personali della stessa da parte delle strutture mediche.
Ora lo stato polacco dovrà pagare un risarcimento di 61mila euro alla giovane e alla madre. Un vero e proprio calvario quello della ragazza quattordicenne che rimasta incinta nel 2008 si è vista costretta a vagare da un ospedale a un altro quasi a elemosinare quel diritto – quello dell’interruzione volontaria di gravidanza – che riconosciuto dalla normativa in vigore nel suo paese, all’atto pratico non le è stato garantito.
Seppure, infatti, la legge polacca che disciplina l’aborto sia una delle più severe in Europa, questa concederebbe una deroga al divieto di abortire solo ed esclusivamente nei casi di stupro, incesto o quando è in pericolo la vita del feto o quella della madre. Eppure, nonostante un certificato dell’avvocato attestasse che la gravidanza era il risultato di un ‘’rapporto sessuale illegale’’, la giovane si è vista rifiutare il trattamento prima da due ospedali della sua città natale, Lubin, e poi da un ospedale di Varsavia.
A tal proposito, si legge negli atti del processo che madre e figlia avrebbero denunciato una totale ‘’mancanza di aiuto’’ da parte dalle strutture, affermando di essersi sentite ‘’manipolate’’ da quanti cercavano di convincere con insistenza la ragazza a non procedere con l’interruzione. Le due donne sarebbero inoltre state aggredite dai gruppi pro-life e subito ore di interrogatori con la polizia. La giovane sarebbe poi finita in un centro di accoglienza giovanile per via delle accuse mosse alla madre, rea secondo le autorità di voler obbligare la figlia ad abortire.
C’è voluto l’intervento del ministro della salute polacco affinchè la ragazza riuscisse ad abortire: ma per farlo si è dovuta spingere, seguendo canali clandestini, fino a Gdansk, a 500 km da casa.
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