Il via libera definitivo e bipartisan della Camera (483 voti a favore, 8 astensioni e nessun contrario) alla legge di ratifica della Convenzione Onu contro la Tortura, giunto tre settimane dopo l'ok del Senato, mette fine a una situazione di stallo legislativo che in Italia dura da anni. Il Parlamento dovrà adesso approvare un apposito disegno di legge per l'introduzione del reato di tortura nel codice penale e dovrà inoltre disporre l'istituzione di un'apposita Autorità nazionale indipendente per la protezione e la promozione dei diritti umani, necessaria per una applicazione concreta ed efficace della Convenzione.
Quest'ultima, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984 ed entrata in vigore il 26 giugno 1987, definisce la 'tortura' come “qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali” per punirla, intimorirla, ottenere informazioni o confessioni, “qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito”.
Gli atti di tortura, spiega ancora la Convenzione, dovranno essere puniti con “pene adeguate” e “nessuna circostanza eccezionale, quale che essa sia, che si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, di instabilità politica interna o di qualsiasi altro stato di eccezione, può essere invocata per giustificare la tortura”.
L'Italia del sovraffollamento carcerario, l'Italia dei Cucchi, degli Uva, degli Aldrovandi e delle migliaia di detenuti senza diritti né tutele, l'Italia della Scuola Diaz e dei 'lager per immigrati chiamati 'Centri di identificazione ed espulsione', quell'Italia dovrà dunque adeguare il proprio ordinamento a quanto stabilito più di trent'anni fa nel palazzo di vetro della Grande Mela.
La ratifica del Protocollo Onu è sì cosa buona ma, come spiega il deputato radicale Matteo Mecacci, relatore della proposta di legge, la speranza ora è che “si abbia il coraggio di superare gli ostruzionismi che ancora si frappongono all’introduzione di tale reato nel nostro codice penale: il provvedimento riguarda potenzialmente la vita di tutti i cittadini, e li riguarda nel momento più delicato nei rapporti tra cittadini e Stato, quando una persona viene privata della sua libertà. In quelle circostanze lo Stato ha la responsabilità di rispettare l’integrità fisica e psicologica dei detenuti”. (F.U.)
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