Sono poco meno di duecento le donne malesi che in Mali hanno deciso di manifestare il proprio dissenso contro la decisione, da parte del nuovo regime, di imporre il velo secondo l’osservanza della sharia.
Le manifestanti sono scese per le strade di Timbuctu, attualmente è sotto il controllo dei ribelli islamici, coraggiose e decise ad accusare il nuovo governo per aver commesso una serie di arresti e di violenze contro la popolazione femminile a seguito della rivisitazione della legge islamica.
Da aprile, infatti, gli islamisti più radicali hanno costretto la popolazione ad osservare una rigidissima interpretazione della sharia: messa al bando la musica, istituito il taglio degli arti per i sospetti criminali, anche per le donne è scattato l’obbligo di coprirsi integralmente, andare in giro solo se accompagnate dal marito o da un parente e di rispettare il coprifuoco delle 23.
Nell’ultimo mese è stato già segnalato uno dei primi (e sicuramente non ultimi) abusi subito da una donna a cui è stato vietato l'accesso in ospedale perché non portava il velo: a causa di questo suo rifiuto la ragazza è stata costretta a partorire sul marciapiede.
“La vita sta diventando sempre più difficile con queste persone, siamo stanche, ci hanno imposto il velo e ora ci braccano come banditi se non lo indossiamo” sono le parole disperate di una delle coraggiose partecipanti alla protesta. E la situazione sembra peggiorare di giorno in giorno: gli islamisti infatti hanno già annunciato che a luglio ci sarà l’abbattimento di tutti i sedici mausolei dei santi musulmani di Timbuctu (compresi alcuni cimiteri e monumenti risalenti alla prima fase d’islamizzazione dell’Africa); già tre sarebbero stati devastati.
La comunità internazionale intanto sta valutando seriamente l’ipotesi di un intervento militare per scacciare i gruppi islamisti al potere, come richiesto - tra l’altro e in più occasioni - dal presidente maliano Dioncounda Traorè.
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