di Camillo Maffia
Una diagnosi sbagliata e viene dichiarato socialmente pericoloso: così inizia il calvario di Alberto Esposito, quarantanovenne di Rimini, sottoposto a misure di sicurezza dal novembre 2014, quando una perizia psichiatrica lo identifica come incapace d'intendere e di volere, ma schizofrenico.
L'uomo, colpevole di aver mostrato i genitali in pubblico, viene rinchiuso così in una comunità terapeutica per sette anni, nonostante i medici abbiano successivamente rigettato la certificazione iniziale: ulteriori esami mostrano infatti come sia affetto da ritardo mentale.
Processato per atti osceni in luogo pubblico, è stato prosciolto dal Tribunale proprio in quanto incapace; nonostante questo, è stato dichiarato socialmente pericoloso appunto in virtù della diagnosi di schizofrenia e sottoposto quindi alla misura di sicurezza della libertà vigilata per un anno.
I giudici ne hanno poi disposto il rinnovo fino a quando, il 19 febbraio 2020, è stata disposta una perizia d'ufficio, dopo che il dottor Danilo Montinaro, consulente della difesa incaricato dall'avvocato Vincenzo Di Nanna, ha accertato come il signor Esposito soffra in realtà d'una forma di ritardo mentale.
Una problematica di tipo lieve, ma che può indurre crisi simili a quelle psicotiche, determinando così equivoci come quello che secondo il dottor Montinaro ha indotto gli psichiatri in errore. La perizia del prof. Antonio Melega ha quindi confermato tale diagnosi, che renderebbe inutili se non dannosi i farmaci antipsicotici indicati per la schizofrenia, con cui Esposito è stato imbottito di fatto per sette lunghi anni.
Anzi, secondo Montinaro, recentemente intervistato da Radio Radicale, "i potenti antipsicotici e psicofarmaci potrebbero aver peggiorato il decadimento cognitivo". La madre Carla, che per sette anni ha ribadito come Esposito non sia affatto socialmente pericoloso, si sta battendo affinché ritorni a casa: "Hanno tolto la giovinezza a mio figlio", ha dichiarato al Corriere di Bologna.
Ma nonostante gli appelli della madre e le questioni sollevate da l'on. Roberto Giachetti (Italia Viva), che ha presentato una interrogazione parlamentare sulla vicenda, il magistrato ha disposto ancora una volta il rinnovo della misura. Pur recependo la diagnosi di ritardo mentale, ha infatti sostenuto che se comportamenti come quello all'origine del procedimento si verificassero fuori dalla struttura potrebbero suscitare reazioni negative, e ha ritenuto in ogni caso necessaria la prosecuzione della terapia farmacologica in comunità.
Il provvedimento è stato impugnato dall'avv. Di Nanna, con il quale è difficile non concordare quando afferma che "se Alberto non è socialmente pericoloso non lo si può sottoporre a una misura di sicurezza", tanto meno se questa fosse volta ad imporre cure di dubbia efficacia. Premesso infatti che se la diagnosi è errata non può essere corretta la terapia, va sottolineato che un farmaco come la Clonazina è “caduto in disuso per gli effetti collaterali che poteva produrre sulla crisi ematica”, secondo quanto ha specificato il perito d’ufficio.
Appare perciò pienamente comprensibile la resistenza anzitutto della madre nei riguardi di trattamenti fondati su una diagnosi che è stata smentita in modo netto dalle nuove perizie, fermo restando che Esposito in sette anni non è stato oggetto neppure di una denuncia per reati minori.
Pur nel pieno rispetto del Tribunale e restando in attesa che sia quest'ultimo ad esprimersi sul caso, per noi è inevitabile però porre una domanda: se il paziente non soffre di schizofrenia e non è pericoloso, perché viene curato come uno schizofrenico ed è sottoposto a una misura di sicurezza?
(foto Corriere di Bologna)
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